lunedì 24 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 12:36 | 9 comments

Lei–Roma di Note #4– Io me moro

Il weekend è molto duro, c’è l’assenza, la difficoltà del sentirsi, i rischiosi "10 minuti veloci poi non posso più”, ma nonostante questo, anche in sua assenza ho la necessità di immaginarmi che dopo una settimana dedita allo stress, sia giusto farsi una passeggiata se la serata offre un’aria fresca, e soprattutto camminare fa bene. Quello che ci viene offerto di domenica notte, nelle vie di Roma, è una città antica, cosa che non è di giorno, puoi andare a San Pietro e sentire il vento che passa in tutte le file di colonne del Bernini, e notare che è stata aggiunta una fila tra le prime 2 per non dare sfogo alla bellezza che offre la piazza. Oppure puoi cercare tra i vicoli di Borgo Pio una visione che non si addice minimamente all’austerità offerta da San Pietro da un lato, e da Castel Sant’Angelo dall’altro.

Poi arrivi a Castel Sant’Angelo, costeggiando il “passetto” e vedi che sorveglia tutta la città di notte, ed è sfondo per migliaia di foto ogni giorno, che faranno il giro del mondo; ma che è stato anche teatro di molte morti, mentre attraversavo il ponte infatti me n’è sovvenuta una interessante.

beh

Beatrice Cenci decapitata perché uccise il padre, simulandone maldestramente una morte per incidente. Ma non è questa la parte interessante, la storia di Beatrice, influenzò notevolmente la vita del nostro pittore preferito, Caravaggio. L’ingiustizia subita da Beatrice e la falsa giustizia che l’ha portata al patibolo, han fatto da musa per parecchi artisti.

Difatti l’opera Giuditta e Oloferne di Caravaggio rappresenta la storia di Beatrice.

300px-Caravaggio_-_Giuditta_che_taglia_la_testa_a_Oloferne_(1598-1599)

Altra curiosità è che Mastro Titta, abbia annoverato tra le sue memorie le difficoltà di “posizionamento capite” a cause del seno prospero della condannata.

 

"Non sapendo come dovesse accomodarsi domandò ad Alessandro primo boia cosa avesse da fare, e dicendole che cavalcasse la tavoletta del ceppo e si stendesse sopra di quella, nel che fare per la mole del corpo, ma più per la vergogna durò grandissima fatica, ma molto maggiore fu quella di accomodarsi con il collo sotto la mannaia, perché aveva il petto tanto rilevato che non poteva arrivare a porre la gola sopra quel legnetto in cui cade il ferro della mannaia, a cagione che, non essendo la tavoletta più larga di un palmo, non era capace per l'appoggio delle mammelle".

 

Mastro Titta – Memorie romanzate di Giambattista Bugatti

 

Tutto quello che ora è bello, prima di esserlo è stato teatro di numerose lacrime ed ingiustizie, pare che ogni cosa bella nasca da tante lacrime.

 

Questi “tour” che faccio, non sono per me, io queste cose le ho vissute centinaia di volte, ma le ripercorro aggiungendo lei al mio fianco, ora prende senso tutto questo “nozionismo” di cui son fornito, completamente inutile, ma ci piace, ci rende vivi e ci fa vivere anche un ponticello.

venerdì 21 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 12:43 | 2 comments

Lei #29–Quel dì dal rivendugliolo

Ci sono quelle poche volte nella storia in cui riesco a ritagliarmi un po’ di tempo con lei, una di queste è stata qualche giorno fa, quando, cambiando turno, ha accettato di farsi accompagnare alla metropolitana.

La tattica è semplice: usciamo, io faccio il giro, lei mi aspetta come se aspettasse il bus, io la carico, e andiamo via. Non faccio mai la strada “facile”, preferisco passare in mezzo alla città, perché voglio viverla con lei, perché voglio dedicarmi quei 2-3 minuti in più alle sue braccia che stanno intorno al mio collo. E mi piace anche star sempre a sentire “C’è gente!”. Accompagnata alla metro abbiamo visto delle bancarelle, e lei attratta come una falena dalla luce, non è riuscita a resistere, ovviamente sono rimasto, e lei:

-Non s’è mai visto un uomo che segue una donna per bancarelle

-Ma io non mi annoio, io interagisco con i venditori ambulanti

lei sorride.

Cominciamo con l’acquisto di un vestito, scelto da me ovviamente, molto bello, un po’ corto ma fa la sua figura sul suo corpo. I venditori stranieri si appassionano al nostro rapporto, e al modo in cui scegliamo le cose e soprattutto simpatizzano, perché grazie a lei il mio carattere diventa molto piacevole. Compriamo anche dell’intimo, e lo fa scegliere a me, onestamente mi son reso conto di quanto mi piaccia scegliere le cose per lei, non solo da vestire ma anche da levare. Li scelgo ma amaramente so che non sarò l’unico a vederli o che forse io non li vedrò indosso a lei. Ma mi piace pensare che faccia le cose per me.

Dopo tutti questi acquisti decidiamo di prendere un gelato, mi prende per mano, nonostante sia in mezzo alla “gente”, la cosa mi fa sorridere, ma soprattutto mi fa felice. Dopo la sfida di chi paga, abbiamo mangiato un gelato pessimo, il mio soprattutto, fortunatamente il suo era decente. Perdiamo tempo, facciamo aventi e indietro per buttare le coppette, arriva l’ora del commiato, il momento che ci accompagna sempre. Davanti alle scale della metro ci guardiamo per 10 secondi fissi, sembrano una vita, e dopo

-Ti amo

-Da impazzire

Si controlla ancora intorno, per quanto voglia nasconderlo, vedo che i suoi occhi cambiano espressione, è triste. Mi bacia, molto velocemente.

-Ciao, ci vediamo domani.

-Già

Vedo scenderla per le scale, io mi incammino per andare a riprendere lo scooter, salgo, metto il casco e il venditore ambulante mi guarda e mi dice “Ciao Angelo”. Quel –ciao angelo- rappresenta come la gente mi vede quando sto con lei, tutti si invaghiscono di noi, si interessano, simpatizzano, scherzano, parlano, non siamo “la coppia che passa”, cioè si fermano a parlare con noi dicendo anche dove possiamo ritrovarli, perché vogliono rivederCI, non a me, non a lei, ma a noi. Ma quel saluto mi fa notare che sono rimasto solo. E dico al tizio

-C’hai ragione! Tienimi il casco e guardami lo scooter!

Lascio tutto, e scendo giù di corsa, e fortunatamente la vedo intenta a prendere il biglietto alla macchinetta, prendo 2 euro dalla tasca, che lei stessa mi ha messo, e mi avvicino a lei che si sposta e mi guarda

-Perché sei sceso?

-Perché avevi bisogno di aiuto!

-Perché sei sceso?

-Ecco il biglietto

-Prenditi i soldi

e mi da 5 euro in mano, io prendo il resto e mi avvicino per rimetterglieli in tasca

-Dimmi perché sei sceso!

-Perché ti amo, non mi basti mai, e non volevo perdere nessuna occasione.

In quel momento le sto vicino e la bacio, nella metro, con la musica che sembrava fatta apposta, nessuno ci guardava ma ci sentivamo osservati da tutti.

-Tu sei matto….

-Non mi pare una novità.

Vedo i suoi occhi lucidi, sento che avrei potuto baciarla per ore e non avrebbe opposto resistenza, ma non serviva, non è importante quanto è lungo il bacio, ma per quanto tempo ci lascia quella sensazione. E ancora oggi sento il suo braccio nella mano sinistra, sento di avere la mano destra nella sua tasca mentre faccio cadere gli spicci e l’avvicino a me, e sento le sue labbra abbandonate al bacio, e vedo i suoi occhi lucidi.

Sono andato via, perché non volevo lei vedesse i miei.

Però li ha visti il venditore, che mi teneva il casco mentre fisso e stupito guardava me risalire dalla metro:

“Che hai fatto? Perché è andata via?”

-Perché doveva andare via

“oh mi dispiace”

-A te? Pensa a me…

“ma tu piangi?”

-Solo quando è necessario, ma non dirlo in giro senno non vengo a trovarti più

“ok amico! stai bene perché sei una brava persona.”

-Se fossi una brava persona forse non sarei sceso. Ancora devo capirlo.

“Per me sei una bravo uomo.”

-Speriamo tu abbia ragione, mi voglio fidare di… come ti chiami?

“Dinesch” (non so come si scrive ovviamente)

-Ok Dinesch mi fido di te, quindi se non hai ragione me la vengo a prende con te. Ora vado senno faccio tardi e tu non vali un mio ritardo, anche se sei simpatico.

“Tu scherzi tanto, fai felice gente, tu sei brava, ti auguro bene ciao”

mercoledì 19 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 15:30 | 14 comments

La barzelletta zozza #1-#2

Ok non so perché ma mentre ero a mensa circondato da vecchie bagasce, mi è venuta in mente una barzelletta veramente trash. E quindi perché non condividerla?

 

C’era una volta una ragazza con le sue sorellastre che doveva andare al ballo, arriva la fata Smemorina e con una mirabolante magia la veste di tutto punto, topi diventano cavalli, zucche che diventano carrozze.

cenerentola-sexyBaldanzosa si incammina verso il castello ripetendosi continuamente la regola imposta dalla Fata. “Non fare più tardi di mezzanotte poiché l’incantesimo svanirà”.

Arriva al castello, tutti ballano, un drink tira l’altro e lei si ritrova a letto con il principe, cominciano i preliminari e a fellatio finita, scocca la mezzanotte DONG! DONG! DONG! Comincia a correre sulla scalinata e il principe la insegue mentre si tira su la tutina, e vede che si è persa la scarpa sullo scalino e urlando:

-CENERENTOLAAAA! CENERENTOLAAA!

e lei:

-CHE C’E’ MIO BEL PRINCIPE?!?!

-HAI DIMENTICATO LA SCARPETTA!!!

- E FALLA FA A QUELLA ZOCCOLA DE TU SORELLA!!!

The End. E vissero tutti felici e contenti

 

Ne aggiungo un’altra che mi è venuta in mente mentre la scrivevo:

Sempre Cenerentola – Fata Smemorina magia vestito che da stracciato diventa un fantastico abito da ballo delle debuttanti, i topini si trasformano in cavalli, e la zucca diventa una bellissima carrozza e la Fata pronuncia queste parole:

-Ricorda Cenerella, se entro la mezzanotte non sarai fuori dal castello, tutto tornerà come prima, e soprattutto la patata ti diventerà una fetta d’anguria!!!

Cenerella un po’ imbarazzata e incredula si incammina al ballo, durante il quale vengono offerte bevande e frutti di ogni parte del mondo, ad un tratto il principe le si avvicina con una enorme fetta d’anguria, che partendo da una punta con una sola passata ne fa rimanere solo la buccia, e le dice:

-"E tu Cenerentola fino a che ora puoi restare?”

-“bah… le 2 le 3 vai tranquillo…”

martedì 18 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 15:46 | 6 comments

Lei #28–Feel Like Home

La canzone è un buon sottofondo.

Fin da bambino ho sempre voluto andare via di casa, ricordo che all’età di 7 anni mi misi il mio super-accessoriato Big Jim sotto il braccio, passai in cucina a prendere una mezza pagnotta di pane e decisi che me ne sarei andato di casa.  Era sabato, scesi le scale mentre i miei mi guardavano ridendo, aprii la porta che dava direttamente sulla strada, vidi la piena totalità della vita mondana anni ‘90 sotto casa mia, locali che producevano musica a me totalmente avulsa, odore acre di birra su asfalto, gente che urlava, macchine che suonavano… Insomma optai per scappare di casa di lunedì. Soprattutto di giorno.

Non mi sono mai sentito a casa, neanche a casa mia, saranno stati i miei e le loro ostilità, o forse il declino che vedevo nel loro interesse verso il mondo.

 

Non mi sono sentito a casa quando vivevo con altri ragazzi, lo dimostra il fatto che la mia “stanza” non è mai stata chiusa, era un porto di mare, gente che entrava o che usciva, anche mentre dormivo. Sono stato all’estero e anche lì la casa non era una casa, era un posto dove dormire.

 

L’ho progettata più volte la mia casa ideale, tanto da diventare decisamente abile nell’utilizzo di software atti a rendere 3d la tua idea di casa, abile con i software di ikea o simili, per arredare, forse anche molto bravo nell’arredare proprio. Lo dimostrai per la cura dei particolari che avevo anche nel mio locale. Linee che dividevano le stanze, colori accesi pastello, ovviamente il tutto sembrava un quadro di Mondrian, ma chi se ne accorse? nessuno, pensai che fosse la mia casa, che nascondeva i miei segreti e le mie passioni, a chi potevano piacere delle follie tali. Ma comunque non lo fu neanche quel locale. Cominciai a capire che non era tanto dove vivevi, era come stavi a farti sentire a casa.

 

Il 19 febbraio, ore 20.15 circa ero seduto accanto al sedile del passeggero, ci fu uno di quei discorsi del tipo “non si può/non si deve/sto male/sono colpevole/etc.etc” uno di quei discorsi che quel giorno mi colpì parecchio, perché non riuscii a nascondere la tristezza, solitamente sono molto più bravo. Lì in quel momento lei smise di fare quel discorso, io la guardai e lei mi fece una carezza sul viso, una carezza che partiva dalle tempie e finiva col pollice sulla bocca, i discorsi erano finiti, lei fu più forte di me, mi consolò e mi fece sorridere. Chiusi gli occhi, entrai in un salone con delle scale, sentii degli odori a me familiari, vedevo dei quadri che rappresentavano qualcosa, dei colori e una voce. Mi son sentito a casa per la prima volta. Su un montante di una macchina, quasi seduto per terra, con il casco in mano, ma mi son sentito bene, ero a casa. Mi son sentito a casa la prima volta che mi ha detto mi abbracci, mi son sentito a casa la prima volta che ha sorriso, quando ho sentito che sapore hanno le sue labbra.

 

La casa è come la chiesa se non ci credi è solo un edificio fatto con i mattoni, ma quando una carezza ti fa sentire come se avessi aperto la porta e lì ci fosse tutto il tuo mondo, allora sei veramente dentro la tua casa, con tutti i pro e i contro, e non avrai mai paura di varcare quella soglia.

domenica 16 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 12:01 | 11 comments

Lei #27–The man in the mirror

Ho sempre odiato gli specchi, non mi piace guardarmi, non mi piace guardare neanche quello che ho dietro attraverso lo specchio. Alla stessa maniera non mi piacciono le foto, non guardarle, intendo a me, non mi piace che mi si impressioni. E no, non ho paura che mi si rubi l’anima.

 

Però so che esiste una foto che mi piace, a cui non mi sono ribellato, a cui ho sorriso all’obiettivo. Ed è sul suo cellulare, nascosta, bloccata o quel che è, dove ho sulla fronte un post-it:

Ciao

Ti Amo

Pomiciamo?

Si lo so non è granché, ma d’altronde avevo fretta.

 

Venerdì mi sono visto allo specchio, come non avevo mai fatto prima.

Mentre lei si ricomponeva i capelli nel bagno, sono entrato nell’antibagno delle donne, e l’ho abbracciata da dietro, lei mi ha preso le braccia come continuazione del mio abbraccio.

(Io le ho anche toccato una tetta, ma questa parte la tralasciamo).

Ho alzato lo sguardo, ho visto me con lei, mi sono piaciuto, ovviamente era lei che stava davanti a me e io intanto le baciavo il collo.

 

Stamattina mi sono lavato il viso, ho alzato gli occhi, lo specchio era tornato vuoto, o meglio, è tornato quello di sempre, un riflesso banale della realtà, niente di voluto, niente di cercato, solo un continuum di quel che c’era prima.

 

A lei piacciono le foto, a lei piace specchiarsi, lo fa spesso anche sulla porta che riflette in determinate ore del giorno.  A me non è mai interessato nulla di queste immagini, tutti lo accettavano, e tutti lo sapevano.

C’è una frase di un film che rappresenta quasi totalmente il mio excursus.

 

Io sono un grande stronzo… anzi no, sono consapevolmente un grande stronzo. Perché non mi è mai importato di niente e di nessuno in tutta la mia vita e la verità è più o meno che tutti l’hanno accettato… “sai è così”… “è fatto così”… e poi tu… Dio… (lo ripeto infinite volte) tu!

Tu non hai mai pensato questo di me. Io non ho mai conosciuto nessuno che pensasse davvero che volessi qualcosa, finché non ho incontrato te… e allora l’hai fatto credere a me, perciò sfortunatamente io ho bisogno di te e tu hai bisogno di me!

 

Ora voglio le foto, voglio guardarmi nello specchio, le dico a voce che voglio una minilei, perché diamine se la voglio. Perché la voglio per me per la più bassa forma di egoismo, voglio un’altra come lei;  e la voglio dare a lei perché è ciò che di meglio potrei darle, un’altra come lei.

 

giovedì 13 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 16:52 | 8 comments

Lei #26–Le guerre pudiche

Roma e Cartagine, città coetanee, la supremazia è ancora da decidere, quale miglior modo di un 2-3 guerre Romano-Puniche per ottenerla?
Da questo, ho deciso di instituire le guerre pudiche, dove sia io che lei, ci contendiamo la supremazia dialettica di una conversazione, chi ha ragione su chi? Io sono talmente logorroico che riesco a far cambiare idea e/o farti dire quello che voglio tu dica, lei, invece, con poche parole, o mi mette a disagio o fa capire che è talmente testarda da non voler sentire ragioni, le parole più gettonate sono no, ho ragione io, sta zitto, vaffanculo, ho detto zitto, taci.

Le guerre pudiche non si fermano a 3, sono parecchie, io cerco di essere romantico e senza usare terminologia troppo mmm focosa, invece lei con 12 parole senza alcun pudore nelle stesse, mi fa ammettere di aver ceduto, quindi gliela do vinta, maledetto me. E lei ne approfitta per annoverare tra gli screen di ricatto:

Screen 1: Il gran rifiuto                                                                  Screen 2: La Resa
10 - pronto
j - pronto


















Screen 3: Supremazia 1                                                               Screen 4: Supremazia 2
q - pronto
k - Pronto


















Il miglior pescaggio da mazzo possibile... La sconfitta dialettica e il fallimento di recupero con inganno al seguito il pericolosissimo da oggi in poi…

SUPREMAZIA DIALETTICA
L’asso nella manica.

asso - Pronto

Questo fatto è sconcertante, io non faccio screen perché lei si incazzerebbe ma io devo subire l’onta sia verbale momentanea, che riproposta nel tempo, qualsiasi cosa succeda lei ha uno screen pronto all’uso per farmi incazzare. E’ vero sono parole mie, ma a volte sono distratto e faccio ammissioni che mi ingabbiano. Se dovesse andare come voglio io, cioè che ci dedicassimo tutta la vita per noi, nonostante tutto ci farei dei quadretti, non perché ammetta la sconfitta, ma perché anche queste cose fanno parte di noi, e ci divertiamo come deficienti a metterci in difficoltà o a farci rosicare.
Ma so per certo che nessuno arriverà mai a far bruciare l’altra città, perché vedrebbe riflessa la propria, come del resto pianse Scipione durante il saccheggio e le fiamme, vide riflessa la propria Roma, dopotutto siamo uguali io e lei. Come lo furono Roma e Cartagine.
E poi che gusto mandare un messaggio con scritto:
-Ti amo stronza!
per poi leggere:
-Da morire perdente.

mercoledì 12 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 15:30 | 10 comments

Lei #25–Happiness

Quando un uomo avrà raggiunto la felicità, il tempo non ci sarà più.

 

Dostoevskij – Demoni.

 

Chiedimi se sono felice?

-Si lo sono, lo sono quando vedo lei 3 ore prima dell’orario di lavoro, lo sono quando mi bacia di prima mattina, lo sono quando si mette la gonna per mandarmi in tilt, lo sono quando mi tiene la mano in macchina, lo sono quando vedo lei che mi guarda, sorride e si morde il labbro. Lo sono quando un secondo dura un eternità ma sai che è poca l’eternità stessa.

Se ieri avessi dovuto fare un resoconto della giornata avrei detto che:

Ho passeggiato mano nella mano, ho guardato ciò che amo da sotto la strada attraverso una finestra, ho baciato, ho abbracciato e nello stesso tempo mi veniva stretta la mano che le cingeva la spalla. Ho preso un libro perché a lei serviva, ho riso con lei e con tutte le persone che incontravamo; io interagisco con il mondo perché voglio viverlo, ogni volta che c’è lei di fianco a me. Abbiamo comprato un vestito per lei, discusso sulle tonalità di colori esistenti, abbiamo fatto quello che non “ci è concesso” ma ci siamo amati anche solo perché camminavamo nella stessa direzione.

I resoconti della giornata voglio farli mentre lei si addormenta, l’ho guardata dormire o riposare gli occhi, come vuol dire lei, mentre riposava gli occhi le accarezzavo il viso e vedevo che stava bene, quando ho visto che lei stava bene mi son sentito felice, con lei accanto, vestita per mandarmi in tilt, un sorriso generato da una carezza, e nessun altro in giro.

Non sapevo quantificare il tempo che passava se non guardando l’orologio, non capivo perché una carezza sembrasse così lenta ma al tempo stesso le 3 ore sono volate via.

 

Quando mi ha chiesto come fossi stato, le risposi –felice- e lei, fiera del suo puntiglio, “felice è una cosa importante” ed io so bene che significa. Ho provato a richiederglielo, la risposta è stata “felice”. Lo so che mi ha fatto quell’osservazione prima, perché poi il suo felice avrebbe avuto più importanza.

 

La sera a casa, non pensavo ad altro se non al bacio dato alle 10:55, al darsi la mano con le dita intrecciate, alla sua gonna, e a quello che aveva sotto, al fatto che mi avesse mandato veramente in tilt, mentalmente e fisicamente, al comprare delle stronzate, al fare tutto perché un suo sorriso, un suo chiudere gli occhi e riposarli, vale ogni singolo gesto. Ognuno fa quello che può per rendere felice un’altra persona, io mi rendo conto che faccio tante cose, ma so per certo che quello che CI rende felici, inequivocabilmente, indiscutibilmente è la vicinanza l’uno dell’altro, ci rende felici tanto quanto si è infelici distanti, perché ogni sguardo che incrocio per me è il suo, non ne reggo più uno difatti, ma so che ogni mano che la sfiora, è la mia.

 

Le ho ripromesso che non cambierò mai, a discapito del fattore “tempo insieme” che tanto sbologna la gente, io le ho detto “tu sai per certo che io fra 20 anni sarei ancora così”, non ho ricevuto risposta, perché lo sa, ed io lo so, ma lo so perché se non solo per lei sarei così per una minilei o un minilei, ho capito che sono così, sono stato così diverso in tutti questi anni che non posso regredire, e poi se ci fosse qualcun’altra con noi, non mi sognerei mai di smettere di creare fiori di carta, o di fare un balletto sulle note di Vinicio Capossela, sarebbe la mia eredità.

 

Non ho tante vite, ne ho solo una, e  in quanto unica, è giusto che cerchi di renderla perfetta, perché la vita è pienamente vissuta solo quando mette radici in un’altra.  A volte ci rendiamo conto che siamo come i Salici Piangenti, quando capiamo che la terra non è giusta cerchiamo un’altra terra, nascosti sotto lo strato superficiale, quando la troviamo i rami si appesantiscono come spugne e diventano così curvi, il nome non è casuale, ma per ogni trapianto ci sono insieme cambiamento e pianto.

Spero che oltre ai pianti che le sto offrendo abbia almeno un’abbondanza di buoni pensieri. Perché non mi perdonerò mai, comunque vada, del dolore che le sto causando. L’unica consolazione è che lei è felice con me, credo come non lo è mai stata con nessuno. Io non sono la novità, sono quello che vuole, ma che forse avrebbe preferito non conoscere ora.

 

Che rumore fa la felicità?

-Fa “ehi”…

lunedì 10 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 13:17 | 12 comments

Infanti e genitrici

La mia infanzia è stata un continuo chiedermi cosa ci fosse di insano nella mente di mia madre, crescendo ho cominciato a capire che, essendo lei una donna, non aveva la minima idea di cosa volesse, ma poteva riservarsi il diritto di lamentarsi se non la otteneva.

Non posso partire dagli albori, ma posso iniziare da un buon punto.

 

Anni pochi, 6 o 7 – Estate – Mare – Stabilimento Convenzionato con il ministero.

 

-Mamma mi compri il secchiello e la paletta?

-No!

-Mamma! Mamma! Mamma!

-No! No! No!

-Dai! Mi piace fare i castelli di sabbia! (ed è vero ancora mi diverte onestamente, e sono anche decisamente bravo)

-Va bene, ti compro paletta e secchiello! Ma…

Ecco questo è il rapporto, un dare-avere, una legge del taglione infanticida!

…ma, non devi farci le buche!

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Ora, cara genitrice, io capisco tutto, ma se me compri una merdosissima paletta rossa, non posso far altro che farci delle cazzo di buche. Senno che ce devo fa? Me devo mette sulla Nettunense a dirige il traffico locale?

 

 

 

 

Anni un po’ di più 9-10 – Estate – Paese – Negozio di biciclette.

 

-Ecco figlio! Questa è la tua bicicletta!

-Evviva!! E’ nuova è una BMX!! Farò rosicare Andrea (altro abitante estivo del paese distante 91mt da casa mia)

-In che senso?

-Beh GENITRICE! Andrò da lui e gliela farò vedere

-Ah perché vuoi andarci in giro così da solo?

…. Momento di stallo mentale.

Capisco che c’è una trappola, se dico si, mi dice “devi andarci in compagnia”, se dico no, e mi vede fare quei metri da solo, per arrivare alla compagnia, mi dice che le ho mentito, che fare?

Sono fottuto… E’ evidente.

Doveva comprarmi un tandem con un accompagnatore sopra forse? inganno…

 

Anni adolescenziali tipo 16 – Estate – Paese – Campo da calcio

 

Eravamo intenti nella pulizia di sterpaglie e sassi del famigerato campo di calcio paesano, dopo ore di rastrello, e di piegamenti per raccogliere sassi enormi, abbiamo accumulato una buona quantità di sterpi. Seccate dal sole, accantonate sul lato, le guardavamo. Intenti a capire come sbarazzarcene. Ad un tratto, un colpo di genio, “DIAMOGLI FUOCO”.

Eravamo tutti posizionati a guardare questo enorme falò, quando uno all’inizio della fila, dice “VENTO”, e noi abbiamo pensato bene che ci avrebbe aiutato, ma non aiutò assolutamente. Prese fuoco parte del campo, gli sterpi, parte dell’argine del fiume e iniziava parte della montagna…

Noi eravamo atterriti, uno di noi si precipitò indietro per chiamare i pompieri, arrivarono mentre noi cercavamo alla meno peggio di far interrompere la striscia di sterpi, ma eravamo stati molto bravi nel crearla. Quando tutto era quasi finito, noi eravamo neri per la fuliggine, e tagliuzzati come una carota julienne, sento un rumore di una macchina a me familiare, una panda rossa che si precipita nel campo, sgomma come fast & furious genitrice drift, scende con le braccia allargate, io mi accingo a prendere il mio beneamato abbraccio… non fu un un abbraccio ma uno schiaffo che scaraventò l’altra mia guancia sull’altra mano, della serie “te do no schiaffo che er muro te ne da n’artro”. Sono stato ingannato nuovamente.

 

domenica 9 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 02:24 | 10 comments

Lei #24–S’agapò

Ci sono dei giorni in cui so che dovrei stare accanto a lei, lo percepisco, lo sanno forse tutti, ma nessuno lo ammetterà mai. Ieri era uno di questi, un giorno in cui forse il mio animo, o il mio modo di essere avrebbe aiutato più di qualsiasi parola detta da chiunque. Purtroppo non c’ero. Ciò non toglie che però son stato tutta l’intera giornata a chiudere gli occhi e a riaprirli con 3-4 secondi di ritardo. Era come se cercassi in tutti i modi di mandarle un messaggio. Niente mi distraeva dall’intento, anzi, ogni cosa, più del solito, mi ricordava lei, figurati una ragazza che si morde il labbro mentre mi guarda e sono in macchina a cercare lei con la mano su un sedile vuoto. Alla fine capisco che questa mi segue e mi continua a fare sti sguardi perché sorrido come un ebete… ma non sorrido a lei. Sorrido a quello che mi ha suscitato.

Quando si perde una persona cara, ci sono due possibili vie, o sei la persona che piange o sei la persona che sostiene chi piange. Lei è forte, lei smette di piangere per sostenere chi piange.
Lei crede di essere debole, allora mi chiedo se non sia lo sguardo o le parole di chi la circonda a farle credere questa enorme stronzata. Io l’ho vista piangere, l’ho sentita piangere, sono spesso la causa del suo piangere, l’ho stretta quando piangeva, ho sentito il suo petto contrarsi dal pianto stesso, non è un pianto di una persona debole, è un pianto di una persona forte, che nel momento in cui vede che hai bisogno tu di essere sostenuto, diventa il tuo sostegno. Ma io non c’ero ieri… Ero a far finta di divertirmi, a far ridere tutti, a fare il giullare di una corte che non voglio, e non potevo tenerle la mano. Certo non avrei cambiato la giornata, la giornata non la cambi mai, ma puoi cambiare il modo di vedere la stessa. Gli eventi sono inevitabile, le reazioni sono comandabili, la giornata può, in un certo senso, essere modificata.

Posso solo dire che se fossi stato con lei avrei cominciato la mia solita polemica sul tutto. Non perché mi interessasse, ma perché so che focalizzando l’attenzione sulla stessa si sarebbe allentata la morsa allo stomaco:

- Sai amore mio, mi rendo conto che siamo proprio dei coglioni, spacciamo anche il rito della morte come cristiano, quando l’inumazione così è più antica della nascita di Adamo ed Eva, stando a calcoli ovvi.
- Ma ti sembra il momento?
- Beh non è che ci sono momenti migliori, dopotutto parli di cibo quando sei al ristorante, di birra al pub, di lavoro a lavoro, di malesseri all’ospedale. Insomma ogni luogo ti ispira un determinato argomento.
- Dio mio, quanto mi fai incazzare, è vero, ma non è il caso.
- No infatti, però pensaci, pure gli uomini di Neanderthal  mettevano dei fiori, i romani avevano questo concetto di “fuori le mura", e i greci erano fissati per la sepoltura senno niente riposo.
- Dove vuoi arrivare?
- Da nessuna parte, tu immagina fossimo dei greci, guarda la tua amica, quella che chiacchiera bene e razzola male, magari stava al senato… Oppure magari l’altra, quella con la faccia da stronza, che si promette sposa ma poi si rende conto di amare il garzone ed impazzisce perché non può mettere a repentaglio tutto quello in cui ha sempre creduto, ma in cui ora crede meno.
- Ancora non ti capisco.
- Vedi forse se eravamo così antichi come i greci, saremmo stati abbastanza moderni nel pensiero che forse questo giorno non sarebbe mai capitato. Perché ricorda che stiamo storicamente regredendo lo dimostra una frase molto importante, i greci erano già froci quando noi magnavamo ancora le banane sull’albero.
Un sorriso a mezza bocca non gliel’avrei già levato? un sorriso amaro, certamente,  ma una reazione controllabile.
E poi lei curiosa come una portinaia suocera di se stessa:
- E secondo te, noi greci come saremmo stati?
- Beh, eravamo vestiti diversamente, mangiavamo cose diverse, parlavamo una lingua diversa, ma dalla mia bocca sarebbe uscito lo stesso:  -s’agapò-. 

mercoledì 5 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 09:53 | 16 comments

Lei #23-Il buongiorno si vede dal mattino.

04-06-2013

Amore mio, domani vengo alle 8 cerca di arrivare un po’ prima che voglio dare un seguito all’ultimo bacio.

05-06-2013

Sveglia alle 6.30 per poter arrivare alle 7.15 a lavoro. Corsa per arrivare in tempo, alle 6.56 telefono diretto.

- Buongiorno amore mio, come stai?

- Benino (mai che si sbilanciasse, sta stronza!)

- Dove sei?

- Sulla strada quasi arrivata

- Bene, vuoi baciarmi?

- No! Affatto!

Arrivo a lavoro, passo 20 minuti a controllare che non arrivi nessuno del nostro corridoietto passando da fuori al parcheggio e viceversa, sempre stando al telefono per controllare il suo arrivo.

Quando la vedo, si fa giorno. Le dico, mentre esco per dare un ultima controllata al parcheggio:

- Non resistevo più.

Mentre chiudo la porta del corridoio che produce abbastanza rumore da diventare un allarme, sento le tapparelle che si chiudono. Lei vuole baciarmi immediatamente. Appena entro ci baciamo, lei non si toglie neanche il giacchetto dalle mani, le carezzo il viso, le metto una mano sul sedere, lei è vestita bene, sempre curata, anche quando dice di non averci dato peso, le sue labbra mordono le mie, se può essere considerato un morso. Ci baciamo per 5 minuti continui sembrano essere durati un solo secondo. Lei posa la giacca, si riavvicina, e la ribacio, mi appoggio ad una scrivania, lei mi scavalca fermandosi sopra di me, mi ribacia, le sue labbra non riescono a serrarsi, ed io prendo il suo respiro. Passano altri 10 minuti mentre lei muove il bacino, e le dico:

- Questa cosa non aiuta

Lei sorride. Il mio buongiorno è stato questo sorriso.

 

 

 

I want to write a message to you
Everyday at 10 o clock in the evening
Yellow pearl my city is
This is your art this is your Balzac your Brookside and your Bach

martedì 4 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 12:43 | 4 comments

Lei #22-Lettera.

Lettera.

 

Amore mio, la vita toglie, la vita non da niente, la vita ti da solo la possibilità di prendere quello che vuoi, con notevoli difficoltà, ma toglie senza chiederti nulla. E’ assai stronza. Ma una cosa è certa, la vita non può toglierti i ricordi, quelli che ti fanno sorridere, quelli che ti fanno ridere, quelli che creano la voglia di raccontare anche di un panino assieme.

Io forse posso essere paragonato a qualcuno che vuole toglierti la vita, perché forse sì, in un certo senso è quello che voglio fare, ma per dartene un’altra, non migliore o peggiore, ma diversa, forse non è la cosa giusta, forse non è la cosa corretta, ma una volta mi hai detto una cosa molto importante, e sottolineo neanche indotta da me, quando io ti dissi “se me ne vado via, sono contenti tutti” tu mi hai risposto “tranne me e te” e allora ti dico, più di me e te, chi può decidere cosa vogliamo? Tu vuoi le stesse identiche cose che voglio darti io, senza parlarci lo sappiamo, io chiudo gli occhi e desidero darti qualcosa che vuoi tu, non ho bisogno che tu me la dica, non ho bisogno che tu me la scriva. Le mie fissazioni, i miei interessi, sono generati da un’ abnegazione sociale che ho avuto per tutti questi anni, ho sempre creduto che mi comportassi così perché non ero atto a stare in società, anche se non sembra. Ora posso affermare, come già ho fatto, che non era per non stare con gli altri che facevo così, ma per stare con te, non con “una come te” ma proprio con te.

Non voglio sapere se c’è “una come”, io non voglio una vita “paragonabile”, io non voglio uno sguardo “paragonabile”, tantomeno una prole “paragonabile”, perché a paragone di tutto non c’è solo la persona, ma come sono io sotto i tuoi occhi. E come sono io sotto quegli occhi posso esserlo solo con te. Ed è l’unica cosa che mi fa vedere il domani sotto un altro aspetto.

Io con te voglio la parte sconosciuta dell’amore, tu sei il mio bacio ad occhi aperti, sei il mio tremare, il mio cedere, il mio embolo, il mio cervello, il mio cuore, e non ultima, la mia vita. Quella parte che “in barba a tutto” ha vinto, perché alla fine è questo che ci lega, e non è debole, non è flebile, non è appesa ad un filo. Ogni volta che proviamo ad allontanarci perché consideri la cosa giusta, ci riavviciniamo più legati di prima. Ogni sacrosanta volta. Sia perché io non voglio ed insisto, e sia perché non è la cosa “giusta” a quanto pare.

Ti ricordi quando non dovevamo più baciarci?

Pochi giorni dopo, abbiamo iniziato a fare il “dispetto” di avvicinarsi alle labbra fino a pochi millimetri e poi allontanarsi. Poi… un millimetro di più ed eccoci qua.

Abbiamo deciso di non abbracciarci più, ora non desideriamo altro che stare ognuno tra le braccia dell’altro.

A volte vengo la a far finta di lavorare alla postazione della tua collega, e ci accarezziamo le braccia nascosti dal monitor, quelle carezze sono fatte come se fossimo sul divano o in un letto a vedere la tv. Ed ogni volta che c’era una pausa i muscoli del collo si irrigidivano per non baciarci davanti a tutti.

Siamo gelosi l’uno dell’altro, come se avessimo messo non si sa quale marchio, perché parliamoci chiaro, ci siamo “marchiati” da tempo (passami il termine).

Noi non siamo mai stati insieme come si deve, ma l’unica certezza è che non abbiamo paura di un quotidiano, vogliamo il NOSTRO quotidiano, vogliamo cucinare l’un per l’altro, discutere sulla posizione del telefono più comoda per riposizionare il cordless, perché è così che siamo, e amiamo come siamo, ognuno visto dall’altro. Ed è più dell’amore per se stessi o per un altro. E’ dipendenza pura e semplice. E se mi permetterai di affermarlo mai, urlandolo, io lo farò urlerò che voglio una sola dipendenza e si chiama TE. E non tè deficiente.

Alla mia prossima scusa per venire la, tesoro mio.

lunedì 3 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 00:07 | 11 comments

Lei–Roma di Note #3– Costruire

Ogni volta che passo vicino al Colosseo, mi viene in mente una sua foto, un suo sorriso, vista tante di quelle volte. Non è la foto in se, quello che mi viene in mente, è l’attimo di vissuto, quello che io non ho mai avuto. Quello che desidero è il creare, il costruire qualcosa di tangibile o di associabile, un amore vive di ricordi costruiti, vive di attimi rubati, vive di ciò che la gente non può capire da fuori.

Sto costruendo una storia, o se tale si può chiamare, una storia che ha dei ricordi, ha una macchinetta del caffè, un sorriso mentre cammini girata sulla destra, dei post-it, delle fragole, delle olive, delle righe sul muro fatte dalle forcine per capelli, il gesto di chiudere la porta, levarle le cuffie. Ha delle canzoni, ha delle storie, ha centinaia di email, migliaia di sms, decine di migliaia di messaggi su facebook, ha qualche lite. Sto costruendo una storia basata su quello che tutti considerano “normale” allora mi sovviene una cosa; una volta le dissi che non volevo costruire una storia con lei come tutti farebbero, volevo che avesse delle basi talmente tanto solide da far paragonare una torretta di Jenga con il Colosseo. Io voglio costruire un Colosseo.

Andare a vedere il Colosseo di notte è qualcosa di meraviglioso, non rappresenta solo Roma e la sua storia, anzi a mio modesto avviso non è neanche il miglior posto, ma è fermo, è inamovibile, quello rappresenta. E quando ti senti affranto, perché non fare una capatina nella Via Sacra e fermarti nella piazzola per guardare il Colosseo?

CSC_0033

 

Ma oltre che di questo, ti renderai conto di quanta gente passa la davanti come fantasmi. Spostandoti in alto, verso colle Oppio, puoi notare che tra il Colosseo e il tempio di Venere e Roma tutti sono quasi fantasmi. Gente che ha una propria storia, gente che ha creato un passato, presente e avrà futuro ma al confronto sono solo ombre, e lo dimostra una foto bastano 30 secondi di esposizione e tutti diventano fantasmi. Perché tutto passa, tutto scorre. Io non voglio che sia così e so che non sarà così. Che sia anche un racconto fatto utilizzando altri nomi, o come esempio per dare consigli, l’amore o la storia che intendo io è ben diversa. Altrimenti mi sarei accontentato, altrimenti mi accontenterei e mi adagerei.

 

DSC_0031

 

La curiosità

 

Foto 1

Colosseo, abbastanza banale sottolinearlo, la parte interessante è che sia stato esorcizzato da Papa Benedetto XIV, poiché il nome sembra derivare da “Colis eum” cioè “adori lui?” intendendo il diavolo, e rispondendo Ego Colo avevi l’abilitazione ad entrare e boh, sacrificare e fare quelle cose che si fanno.

 

Foto 2

Colonne del tempio di Venere e Roma, quale più suggestiva storia di quella di Adriano che si progetta da solo il più grande tempio a Roma, in barba ai grandi architetti, o presunti tali, di cui uno fatto pure ammazzare perché ha osato asserire che non andava bene il progetto? Apollodoro di Damasco, che fece parecchie opere per Traiano, tra cui la colonna, e forse l’ultimo rifacimento del Pantheon, più porti, ponti, archi, scalini e bozzetti, ci lascio le penne, perché la storia ci insegna che chi se fa i cazzi sua campa cent’anni o quantomeno qualcosa di più di quel che ha campato.

 

Le note

 

Le ho sempre detto che quello che sentivo è che non sarebbe mai stato niente di scontato tra noi, le ho sempre detto che tutto quello che volevo era tutto il resto, cioè quello che non ho, ma non un tutto il resto a cui abituarmi, un tutto il resto sempre nuovo, costruire sempre qualcosa di nuovo.

Avrei voluto essere con lei quando ha nevicato a Roma, e girare per i fori mano nella mano; la sensazione di quei 4 secondi di mano nella mano rubati, alla svolta di un angolo, poco dopo il parcheggio, mi fanno costruire storie forse fantastiche, forse no.

Vorrei assaporare con lei cosa vuol dire guardare in 3, quello che in 2 avrebbe già un sapore magnifico.

Non ho potuto portarla con me stasera, posso però donarle quelle foto, perché parliamoci chiaro, non sto imparando per me ad utilizzare una macchinetta. E forse un po’ di Colosseo le fa bene prima di andare a dormire. Magari dorme meglio, domani lo scopriremo.

sabato 1 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 14:36 | 5 comments

Lei #21.6 - Un altro carosello, un altro 0.3


Io le dico sempre che non ho bisogno di fare altre promesse se non quelle che posso fare a lei, direi anche oltremodo retoriche, ma quanto ci piace dirci cose che sappiamo. Dopotutto una cosa detta è una cosa vera, una cosa scritta è una cosa che rimane. Se ogni cosa che ho fatto porta a lei, ora ho la consapevolezza che ogni cosa che faccio e farò sarà dovuta alla sua presenza, o quantomeno alla sua esistenza. Sia anche scegliere una macchinetta rossa, per darle il nome Rossana. 
La promessa che le ho fatto più volte è che non la odierò mai qualsiasi cosa succeda, ma non serviva farla, in realtà le ho fatto una promessa diversa, ogni volta è la stessa, malcelata sotto queste parole.
"mi odierai tanto quanto mi ami" 
no io odierò tutto il resto quanto amo te.

Il giorno in cui sei arrivata si è aperta una porta su un mondo che non conoscevo 
hai portato con te una parte di me 
che adesso è il mio vanto 
mi hai trovato abbracciato a un ricordo 
seduto e annoiato davanti a uno specchio 
ho sentito di avere il permesso 
di chiudere gli occhi e aprire le braccia 
ora è possibile spingerci insieme 
oltre i confini del tempo 
come certe idee come le maree 
come le promesse 
è possibile andare lontano senza avere paura 
come certe idee come le maree 
come le promesse che si fanno 

adesso siamo compagni di vita 
di vita sognata e di sopravvivenza 
la nostra casa è arredata con i tuoi colori 
e con le mie parole 
i nostri libri mescolati insieme intrecciano 
e fondono le nostre storie 
ma i segreti nascosti in ogni rapporto 
quelli non si raccontano 
il nostro amore si sporca le mani 
ogni giorno nel fango 
più di certe idee più delle maree 
più delle certezze 
il nostro amore è sospeso nel vuoto 
ma con i piedi per terra 
più di certe idee più delle maree 
più delle certezze che si hanno 

tu sei la luce e la pace 
la comprensione della sofferenza 
io sono la voce e la direzione 
le spalle e la malinconia 
così abbiamo unito anche il sangue 
per coltivare il nostro giardino 
e per quanto saremo capaci di farlo 
noi lo custodiremo 
se potessimo spingerci insieme oltre 
i confini del tempo 
come certe idee come le maree 
come le promesse 
se potessimo andare lontano 
senza avere paura 
come certe idee come le maree 
questa è la promessa che ti faccio