martedì 17 settembre 2013

Posted by Adespoto Posted on 13:11 | 9 comments

Impara l’arte e mettitela… da parte.

Andando a via del Corso, per comprare delle scarpe ti imbatti in palazzo Ruspoli, sede di mostre e convegni, dovendo aspettare che controllino il magazzino, decidi di andare a perdere tempo perché sono esposte delle “opere” di un “artista” performer di “arte contemporanea”. Concedetemi tutte queste virgolette.

Bene l’artista in questione è tal Sterling Ruby, appassionato di collage, tipo la madre di una mia amica, che non fa mostre delle sue scatole a palazzo Ruspoli. Ovviamente la mia non è una critica, l’arte contemporanea è palesemente una cagata. E più il pezzo fa schifo, e più è una provocazione, ma la domanda è: che o chi cazzo devi provocare ogni volta?.
L’esempio più palese di “provocazione” è la Fontana di Duchamp, firmata R. MUTT. poiché voleva stravolgere gli schemi. Un orinatoio, che alcuni definiscono un ventre materno, a causa del fatto che, se metti la R alla fine di Mutt viene MUTTER che vuol dire madre in tedesco, un classico gioco di parole che fanno i Francesi naturalizzati americani, con le parole tedesche. N. Mama, maman (fr=madre) oppure R. Moth (en=madre con l’aggiunta di e tipo prima), evidentemente non andavano bene. Comunque alla fine senza perderci in chiacchiere assurde alla Giacobbo, rimane un merdosissimo orinatoio. Insomma il significato non è l’opera perché fatta ma perché “scelta”; l’artista “SCELTO” da critici “SCELTI” sceglie di  “SCEGLIERE” un’opera, manca il fare.
Fontana_di_Duchamp

Bello eh…
E’ interessante…
E pensare che l’opera originale è stata buttata in un trasloco, ma fortunatamente è stata fotografata e ricostruita. Grazie.












Io tutte queste provocazioni non le capisco, o meglio, non capisco gli schemi, dettati anche dallo stesso Duchamp, 8 anni per il suo magnum opus Il Grande Vetro, che cambia, con il passare degli anni, il suo significato, e quindi la provocazione.


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Bello eh…
E’ interessante…
Tipo il titolo vero è “la sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche”… Anche cosa? cioè anche da me che guardo? o anche da te che l’hai fatta? Comunque mentre ci lavorava e dava, di anno in anno significati diversi, si è rotto il vetro e ha deciso che il destino influenzò la sua opera, e l’ha lasciata così, alcuni dicono che “sembra incompiuta”. O semplicemente ha rosicato come un bambino viziato (classico degli artisti) e ne ha iniziata un’altra. Bella cosa. xmila euro.







Comunque tornando al nostro Sterling Ruby, lui fa collage di cose tipo foto unghie, medicine e scatole di medicine. Ne propongo una, non credo sia il “the best” ma insomma…

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Mh….
Che dire…
Ah, ovviamente gli affreschi a palazzo Ruspoli erano coperti, non sia mai dovessi distrarti…












Io lo so che tendenzialmente non capisco nulla di arte, ne moderna, ne contemporanea, ne astratta, ne classica, ma una cosa la so, l’arte è diventata “contestuale” non c’è nessuna scuola, nessuno studio, solo il contesto in cui viene esposta, da significato e valore, se io mettessi quell’orinatoio all’autogrill Tasso Sud sull’A24, la gente ci piscerebbe dentro, con la scritta annessa, forse ne troverei pure altre tipo “belo cazo maschio fa sexo 367278etc” eppure non farebbe arte. Se prendessi poi lo stesso orinatoio dopo che ci sono passati i trans di turno e lo mettessi al Macro, la gente direbbe che è “UNA PROVOCAZIONE” si… lo sarebbe a te che lo stai guardando brutto deficiente.
Comunque voglio aggiungere un aneddoto che mi ha fatto giungere alla teoria della contestualità.
Joshua Bell, virtuoso del violino, suona 45 minuti in una metropolitana, alza 23 dollari, più di mille persone passano la davanti, solo i bambini si fermano ad ascoltarlo, ancora non sono entrati nel concetto “contestuale” ma i genitori avrebbero pagato probabilmente 100 dollari la sera prima, per una poltrona in fondo ad un teatro, e sentire gli stessi pezzi, i più complessi nell’esecuzione, ma in un contesto diverso. Niente applausi, niente ovazione.

lunedì 16 settembre 2013

Posted by Adespoto Posted on 13:14 | 6 comments

miniLei #? - Rosa e Rosso

Rosa è il colore che vorrei del fiocco davanti alla porta di casa. Rosa è il colore delle sue labbra. Quando vedevo i film assieme a lei, immaginavo di avere un’isterica, distruttiva, eccentrica, presenza tra di noi, questa presenza, non ci divideva, rappresentava la nostra unione, rappresentava il nostro amore, ma  non un amore normale, un amore forte, impetuoso, a volte pregno di difficoltà. Ma una cosa ci univa, guardare nella stessa direzione, non cercavamo un posto, non desideravamo il divano di design più del divano di ikea, serviva solo un divano, l’importante era la nostra presenza. La minipresenza. Quando immaginavo la scelta del film, intravedevo conversazioni che partivano dalla qualità della copertina e finivano al tempo atmosferico, e nonostante ci divertivamo un mondo a fare così, dal basso appariva un dvd de La Sirenetta, visto forse 40 volte, ma con un sorriso alla fine prendevamo posizione, e stuzzicavamo, mentre più che guardare il film passavamo il tempo a guardare minilei e guardarci negli occhi.
Rosso è il colore della passione, del sangue, c’è un modo di dire che non ho mai usato davanti a lei, sangue mio. Lei è il mio sangue perché l’ha sostituito, la minilei è il mio sangue per dato di fatto. Rosso è quello che diventa il colore delle nostre guance, quando ci baciamo, rosso è il cappottino che ci piace di più con delle palline al posto dei bottoni. tipo pompon.
Il punto è che non credo esista la perfezione, credo venga creata, quel cappottino preso assieme, è perfetto, non per il cappottino in sé ma perché siamo noi che lo rendiamo tale.  Il fiocco ,che sia rosa o blue, sarebbe perfetto. Se passi dal guardarti in volto, per rossa passione, a guardare in direzione del rosa, allora è perfetto.
Io guardo sempre le sue labbra, sono rosa, lei guarda sempre le mie, sono rosse.

mercoledì 14 agosto 2013

Posted by Adespoto Posted on 15:26 | 2 comments

Lei #35–Risotto alla crema di scampi

 

 

I miei appuntamenti immaginari, oggi, non hanno vinto, chi l’ha spuntata stavolta è il connubio di eventi per cui, non ci sono i suoi responsabili, non c’è il mio responsabile, i miei compagni di banco hanno il pranzo e uno che non se lo porta ha avuto in offerta un pranzo da chi se lo porta, insomma mancava solo che me lo portassi io, ma sapete, mi ero messo d’accordo con lei per andare a mangiare fuori.

Chi immaginava che il 14 agosto Roma fosse così bella, certo chiamare in ordine tutti i ristoranti conosciuti e non, che permettessero di mangiare un risotto alla crema di scampi (suo piatto preferito) degno di esser ricordato, ma che non sia ubicato troppo lontano dal lavoro, è stato complesso, ristoranti molti chiusi o molti aperti solo di sera. Insomma avevo quasi perso le speranze quando ho notato che aveva riaperto una vecchia gloria della ristorazione sarda, e pensate, proprio vicino al lavoro. A colpo sicuro ho prenotato riservandomi la possibilità di disdire qualora a pranzo non avessero avuto la portata per cui avevo prenotato.

Lei si è presentata con i suoi pantaloni bianchi, rigorosamente con i tacchi, una magliettina viola, in tinta con lo smalto, e un giacchetto intrecciato, capelli legati, e lucidalabbra luminoso. Io mmm me. E’ salita in macchina, mi sarebbe bastato, vederla accanto a me come dovessi portarla chissà in quale posto lontano. Non sono riuscito a farle un mazzetto di fiori di carta, perché, nonostante tutto quello che abbiamo fatto, questo era il nostro primo appuntamento con pasto, tendenzialmente il 2° in una storia normalmente vissuta.

Il proprietario ci ha accolti in questo locale con la luce giusta, non soffusa, perché boicotto spesso i locali bui, per diversi motivi, devo vedere cosa mangio e chi ho di fronte, figurarsi con lei. Ovviamente lei non si aspettava che l’avessi portata la proprio per il risotto, ma vederla sorridere e chiedermi:

- Immagina se oggi non lo fanno!

- Secondo te non ho chiamato prima per saperlo?!

Difatti c’era e vederla mangiare con gusto, con calma, senza preoccuparsi della gente, ridere e scherzare con me, ma alla fine parlare di tutto come fossimo a pranzo dopo centinaia di pasti condivisi, parlare di ciò che è successo, e non di noi, mi ha fatto vivere la situazione di stare con lei. Mi ha fatto piacere che ha mangiato tutto, si è presa il dolce, perché era a suo agio con me, non credo l’avrebbe fatto ad un appuntamento, perché non era in linea con la sua “linea”. Ma abbiamo pranzato da coppia. Non sarei mai voluto andarmene, avrei voluto fermare il tempo, ma il tempo non si ferma se si fosse fermato sarei rimasto fermo anche io, magari lontano un tavolo da lei per sempre.

Siamo tornati abbiamo fatto la nostra prima, e forse ultima, recensione di coppia, su tripadvisor, perché ci piace criticare, ma soprattutto ricordare.

Onestamente avrei fatto l’amore con lei, per me non esistevano portate o condimenti afrodisiaci, ora credo che sia afrodisiaco pure un panino da McDonald se di fronte ho lei.

 

Mi è stata data la possibilità anche di un pasto, penso di averla sfruttata al meglio, non mi interessa e non penso cambierà qualcosa, ma posso spostare il punto “cena assieme” dai rimpianti ai ricordi. E’ una differenza molto sottile, ma è importante. E forse abbiamo levato anche un’altra annotazione da dei vecchi post-it che avevo fatto 2 anni or sono.

giovedì 1 agosto 2013

Posted by Adespoto Posted on 13:17 | 5 comments

Lei #34–Per l’amore ci vogliono tutti i sensi.

Nell’uomo ci sono 9 sensi, c’è chi dice 5, se sei un cavaliere dello zodiaco ne hai 7. Ma la realtà è ben diversa, i sensi noti sono 9, categorizzati, e importanti per un ottimo proseguo della vita. Ora supponiamo che normalmente non utilizzi mai tutti i sensi per la stessa azione, ma solo alcuni alla volta, 2 o 3. Ho notato che alcune volte la stessa situazione immergeva completamente nel lavoro ognuno dei sensi, o quantomeno li ha stimolati tutti.

 

La vista

 

Lei è bella, bellissima, vederla al mattino mi rende felice, i suoi occhi sono verdi, e non faccio altro che perdermici, e quando vedo il suo corpo, la mia vista prova la sua esistenza appannandosi, come se dopo non valesse la pena guardare altro. Quando la vedo arrivare il cuore comincia a battere forte, quando vedo cosa si è messa per me, il mio cuore impazzisce. Comincio a diventare lento a sbattere le palpebre, voglio avere più tempo per guardarla.

 

L’udito
 

Sento la sua voce, la cerco continuamente, quando ride, quando parla al telefono, quando tossisce anche. Non siamo molto distanti, ma non posso far a meno di cercarla. Quando sento il suo respiro più affannato che sia per un bacio, o per qualcosa di più, la mia capacità uditiva è praticamente focalizzata su un’unica frequenza, la sua. E onestamente di ascoltare altro, non ho interesse. Voglio sentire la sua voce, voglio sentirla ridere, piangere, gridare, sgridare, sentire le sue parole, vivere le sue polemiche e sorriderle dicendo che è esagerata perché a lei piace polemizzare quanto a me, e lei mi direbbe lo stesso.

 

Il Gusto
 

Il sapore delle sue labbra viaggia sempre sui frutti rossi, il lucidalabbra che regolarmente mangio tutto. Il gusto della sua pelle e il gusto delle sue labbra, mi hanno reso la persona che sono, così golosa di lei. Quando sento il sapore delle sue labbra mi inebrio a tal punto da morderle, da sentirla ora anche con l’udito che il gusto sta prendendo il sopravvento. Io assaporo la sua pelle, ascolto il suo respiro farsi pesante, vedo lei che mi guarda.

 

L’olfatto
 

Ha un buon odore, la sua pelle e i suoi capelli, annuso tutto. Sono un amante dell’olfatto, annuso libri prima di leggerli, annuso cd, cibi, bevande. Da quando ho annusato lei la prima volta, non c’è niente che mi dia più soddisfazione di sentire l’odore della sua pelle, questo odore fa venire l’acquolina in bocca, per questo la golosità fa in modo che assaggi la sua pelle, ed è li che riascolti il suo respiro farsi pesante, ed alzando gli occhi vedi i tuoi riflessi nei suoi e viceversa,

 

Il tatto

 

Il primo approccio tattile lo cercavo già dalle prime volte che le chiedevo di prendere un caffè, quando ci appoggiavamo al muro io sfioravo sempre la sua pelle, sentivo che non avrei potuto farne più a meno un giorno. Così è stato, sento la sua pelle e le sue labbra sotto i miei polpastrelli come fosse un tarasacco, avete presente quei fiori dove soffi ed esprimi il desiderio? Ecco per me è come poter toccare il desiderio stesso, ma lo sfioro soltanto, vedo che il suo corpo reagisce a questa assenza di contatto, e a volte divento un po’ più rude, lo ammetto ma sento perfettamente il suo corpo sotto le mie mani, ogni parte del suo corpo viene cercata dalle mie mani. E quanto la cerchi e l’avvicini non puoi esimerti da sentire l’odore della sua pelle, per poi passare il labbro inferiore sulla sua spalla assaporandone la morbidezza, e sentire lei che fa capire di essere stata presa dalle mie mani, per poi ritrovarti a fissarla negli occhi.

 
 
La termopercezione

 

Sento l’aria che si scalda con lei, quando siamo soli abbasso la temperatura a 20 gradi, la termopercezione di cui siamo dotati mi permette di sentire il suo corpo che si scalda, oltre al mio. Questo corpo che si scalda a contatto con le mie mani, mi fa sentire l’odore che emana anche dal suo accaldarsi, mi inebria che con le mani devo stringerla a me ed avere pieno appagamento del tatto, devo assaggiare il suo corpo e le sue labbra, perché voglio sentire la sua voce che si spezza o ascoltare un suo “oddio” e poi guardarla… mentre si morde il labbro.

 

 

La percezione neuronale con i riflessi incondizionati (dolore, solletico, pizzicore)

 

Sentire il dolore è cosa assai normale, il solletico etc, ma a volte lo stesso gesto che provocava solletico, fatto in un momento dove la termopercezione è alle stelle, produce altri riflessi, ho notato che soffre il solletico ma se la bacio e faccio lo stesso identico gesto, si muove alla ricerca delle mie mani, il gesto che faccio è sfiorarle la pelle dei fianchi. La mia percezione neuronale va a farsi fottere, e capisco che potrebbero anche darmi delle martellate in quel momento, ma anche questo senso è completamente suo.

 

La proprioricezione

 

Riconoscere me nello spazio, riconoscere la contrazione dei miei muscoli, dimentico totalmente come si fa. Mi ritrovo completamente su un altro pianeta, sento a malapena i muscoli che si stancano mentre sono sopra di lei, non sento fatica, non mi rendo conto dove sono, e perché ci sono. Solo una cosa mi tiene vigile, i suoi occhi ed il suo corpo, l’odore della sua pelle, e le mie mani su di lei. La mia proprioricezione appartiene al suo corpo e alla sua testa. Riesco ad essere contento di dove mi riconosco se accanto c’è lei.

 

 

L’apparato vestibolare o equilibrio

 

Quando faccio l’amore con lei, alla fine, il mio equilibrio sparisce, come se non l’avessi mai avuto, lei mi abbraccia e mi sostiene, anche a lei serve il mio sostegno, ci sosteniamo a vicenda. Ci abbracciamo, come le prime due carte che metti di un castello di carta, le più solide di tutta la struttura poi, semplicemente appoggiate l’una all’altra. Sono contento di aver scoperto che anche questo senso le appartiene totalmente, mi fa perdere l’equilibrio sia fisico che mentale, ma dio… sono così felice di sentire che perdo le forze, passare una vita intera con schiena dritta, senza mai mostrare un cedimento, per poi sentirti cadere su un corpicino di poco più di 50kg, che ti fa impazzire l’apparato vestibolare anche solo guardandoti.

 

I miei 9 sensi non li avevo mai messi così a dura prova, ma se dovessi perderne anche solo uno, vorrei che fosse lei l’ultimo esempio dello stesso.

Vorrei che fosse la prima ed ultima persona che ogni giorno, vedo, ascolto, assaggio, annuso, tocco, scaldo, mi faccia vibrare, mi faccia perdere cognizione di me ma che soprattutto mi faccia cedere.

lunedì 22 luglio 2013

Posted by Adespoto Posted on 16:59 | 4 comments

Lei #33-I luoghi dell’amore

Non ho scelto a caso il video con i tagli di City Lights

 

 

Non esistono luoghi specializzati

per “fare l’amore”. Non esistono più luoghi adatti per i primi appuntamenti, il cinema è ultimo in classifica, soverchiato da cimiteri e luoghi sacri. Non c’è un luogo preposto a fare l’amore, ci sono solo due persone che si amano, in un determinato posto, e quello diventa il posto giusto, tanto da farti dire –Son stata così bene che quella scrivania mi sembrava il posto più bello-.

 

Io ora ho una risposta alla domanda “qual è il posto migliore per fare l’amore?”. Nessuno, ho vissuto di espedienti fantasiosi, cercando situazioni particolari e momenti salienti o Salieri, poi alla fine son venuto a conoscenza della parola stessa, e non mi interessa più se è una scrivania, una sedia, un letto, una doccia, un asciugamano, una macchina, non ha importanza. Alcuna.

 

Si evince facilmente cosa è successo in questi giorni, non si resisteva più, perché per quanto non sia importante è fottutamente importante. Perché certe cose non puoi reprimerle, soprattutto se ti rendi conto che lei ti fa dar di matto. E se tu fai lo stesso effetto a lei.

 

Dire che è stato bello, sarebbe molto riduttivo, è stato unico, ogni volta era la prima volta. Tendenzialmente il mio cervello funziona così:

 

  1. Dai stavolta rimarrai sobrio, non ti appannerai.
  2. Appannato. Cos’è questo che ho tra le mani? E’ il corpo di lei?
  3. Si è il suo, sangue smettila di arrivare all’occhio ci vedo male dopo.
  4. Comincio a sudare, perché mi agito come avessi 14 anni.
  5. La bacio, lei fa cadere le braccia sui fianchi.
  6. Io l’abbraccio e ci spostiamo su una scrivania

Non è un pensiero da poco, ci convivo costantemente, rivivo la scena infinite volte per coglierne ogni particolare, rivivo la scena perché ho bisogno di quel momento. Io ho bisogno, io non ho mai avuto bisogno di niente, ma soprattutto di nessuno, ne ero fiero, sbagliavo.

 

Ma ci sono luoghi speciali.

Quali sono? Tutti.

Il luogo è quel momento in cui sei solo con lei, il momento in cui nulla ha importanza, perché ti senti a casa, è sempre la stessa storia, il sentirsi a casa. Il sentirsi bene ovunque, e il sentire di essere tu stesso, la sua casa. Ti senti a casa quando sei su quella scrivania e dici, senza averci pensato, senza che nessuna sinapsi si connettesse, –Faccio quello che vuoi. Sono tuo.-, capisci che sono stati i suoi occhi a fartelo dire, poi lei in quel momento sorride, e tu ti rendi conto che hai detto la cosa più importante nel momento più giusto di tutta la tua vita. Perché per quanto ogni cosa non sia a suo posto, oppure i tempi siano sbagliati, o qualsiasi altra cosa riguardante il tempismo; se non fosse andata così la nostra vita, io non avrei mai visto quello sguardo in quel momento rubato alla realtà in cui poter dire la frase che mai avrei neanche immaginato possibile pensare.

Quindi ho detto la mia frase perfetta, nel momento esatto, in un luogo speciale, ad una persona unica.

 

mercoledì 10 luglio 2013

Si vive per anni accanto a un essere umano, senza vederlo. Un giorno, ecco che uno alza gli occhi e lo vede. In un attimo, non si sa perché, non si sa come, qualcosa si rompe: una diga fra due acque. E due sorti si mescolano, si confondono e precipitano.
Gabriele D'Annunzio

 

…essere l’involucro di ogni funambolico
pensiero che ti viene….

 

 

2010 a.L. (avanti Lei)

 

Tutto cominciava da Marzo/Aprile, telefonate per capire chi fosse disponibile per le vacanze, organizzazione estrema del viaggio nel più minimo particolare, organizzazione del  lavoro per avere il maggior numero di giorni con la minor spesa delle ferie, totale indifferenza alle esigenze comuni. Preparazione dell’ulteriore viaggio in solitaria perché, parliamoci chiaro, i migliori viaggi me li sono fatti accompagnato da me stesso. Google maps alla mano, riviste di viaggi, forum, siti etc. per creare la vacanza “ottimale e ottimizzata”. Insomma i preparativi partivano mesi prima. Si andava spesso al mare, in gruppo. Odiavo il mare, odiavo la caciara dei luoghi più gettonati. Stintino ad esempio, bellissimo posto se solo si vedesse qualcosa oltre l’orizzonte di ombrelloni. San Vito lo Capo, spiaggia talmente tanto incontaminata che ho piantato il mio ombrellone in un bagnante, ma sono cose che capitano quando dormi di spalle. Odiavo avere una famiglia accanto e sentire per ore lo stesso nome con “VIENI QUA!”  o  “SMETTILA!” oppure “NO ANCORA NON PUOI FARTI IL BAGNO MANCANO 12 MINUTI E 24 SECONDI”, da fare in modo che veniva tanta voglia al pargolo da spararsi in acqua con un cannone da circo senza stemperare.

Ricerca del locale dove si poteva bere, dove potevo far conoscenza e farmi offrire qualche giro di qualcosa, perché “siete un gruppo simpatico (io) questo giro lo offro io (a tutti)”. Insomma sapevo come divertirmi e come far divertire.

 

Mi sono reso conto che facevo di tutto per non stare mai fermo a pensare, ma non capivo perché, ho sempre avuto paura di fermarmi a riflettere, fin da piccolo.

 

2011 d.L (dopo Lei)

 

La mia voglia organizzativa è diventata una costola di lei, quando penso ad una vacanza o ad un weekend, mi viene voglia di organizzarlo per lei, oltre che con lei. Mi rendo conto che, altrimenti,  non voglio andare troppo lontano, le mie settimane di vacanza sono state decise dopo aver saputo quando fosse assente, con il panico che non venissero accettate,  perché avrei dovuto prenderle in un altro periodo e stare distante di più. Non voglio andare ad Edimburgo se non ce lei, è la meta dove le ho promesso la fuga. Non riesco ad organizzare un viaggio senza pensare a cosa potrebbe interessarle, che poi alla fine, sarebbe la stessa cosa che interessa a me.

Se vado al mare, o in piscina, mi soffermo a guardare le famiglie, quelle che criticavo, quelle di cui non avrei mai voluto far parte. Ma quando vedo una madre che si alza per richiamare il figlio o la figlia, immagino lei, che si alza e richiama, e io che sorrido mentre guardo lei, magari con un bel costume, e che dico “pensa questa quando c’avrà x anni… te stai a preoccupà ora se fa il bagno fuori orario” e so che lei risponderebbe “fatte i cazzi tua, comando io, e poi serve solo a farle capire che non può fare come le pare, ci sono sempre delle regole, c’è il libro”… Si queste sono le nostre conversazioni, ma anche se le parole sono queste, io so che lei  si girerebbe e mi guarderebbe con quegli occhi, e io alla fine rimarrei in silenzio, sorridendo. Mi divertirei a vedere la borsa con le vivande con tutti i contenitori dello stesso tipo, perché non sia mai siano diversi tra loro, forse solo i colori, ma solo per differenziare le portate.

Farei anche un weekend da turista a Roma, perché quando sei di qua non lo fai mai e ti perdi tante cose, fermarsi in un albergo vicino al centro, mangiare al ristorante dove fanno in maniera eccellente il suo piatto preferito, in uno dei rioni più antichi. Assaporare la stessa città sotto un altro punto di vista. Magari quando è estate, che è pieno di isole pedonali la sera, di spettacoli e fiere. Perché alla fine non mi sposterei chissà dove per vivere questo periodo, mi basterebbe fare 1km da casa mia e sarei ampiamente soddisfatto della mia vacanza.

 

Ora mi fermo di più a pensare, mi soffermo sulle mail di groupon, organizzando mentalmente il viaggio, cercando curiosità che valga la pena di conoscere. Mi soffermo a guardare le famiglie, i portavivande e i genitori, sia quelli da cui prenderei spunto, sia quelli che non vorrei mai fossero d’esempio. Guardo le foto delle vacanze di altre persone. E mi chiedo già da adesso, cosa mi chiederò quando saremo ognuno per conto suo in vacanza, mi chiederò cosa farà e a cosa penserà. Mi chiederò se veramente saremo “ognuno per conto suo”.

venerdì 5 luglio 2013

Posted by Adespoto Posted on 12:42 | 6 comments

Lei #31-Ogni volta

Ogni volta che vedo l’orario di fine lavoro so che arriva il momento del commiato.

Ogni volta che inizia la giornata di lavoro è come se fosse un primo incontro.

C’è qualcosa in mezzo, ogni volta c’è qualcosa, ci sono weekend, viaggi, cene, uscite. C’è tutto quello che non ho tra questi due momenti. C’è tutto il resto.

Ogni volta che ci salutiamo con un suo – io devo andare – è come se mi sparassero, vero che sorrido, vero che dico –ci vediamo domani/lunedì- ma io so che non sarà così facile come si evince dal mio sorriso.

Isabelle Allende nel libro Paula diceva: “non c’è separazione quando esiste il ricordo”.

Non è del tutto vero, la separazione c’è, il ricordo aiuta a rendersene conto, oltretutto.

Non vorrei mai dimenticare la giornata passata, è quello che mi accompagna durante tutta la sera, e anche prima di addormentarmi. Però so che in mezzo c’è altro, ci sono anche io è vero, annoverato tra i ricordi ma fisicamente non ci sono. Non posso sfiorarle la guancia con le labbra, ergo non ci sono.

 

Non ci sono saluti che ci aiutano a passare meglio la separazione, rimane sempre uguale quel momento, qualsiasi cosa sia accaduta, che sia un bacio o una discussione, è sempre identico, i suoi occhi mi dicono fermami e non farlo, i miei le dicono resta posso fermarti. Me ne sono reso conto dai primi momenti, quando lei mi accompagnava alla fermata, che venivo con i mezzi pubblici, ne ho avuto conferma quando io l’accompagnavo alla macchina con il motorino, e lo ritrovo ogni volta che va via per conto suo. Nessuno dei due si gira a guardarsi indietro perché se accadesse, forse, ripercorreremmo la strada al contrario. E poi?

 

Questo “E poi?” fa parte delle incertezze, fa parte del rischio, fa parte dell’impossibile. Probabilmente di cose impossibili ce ne sono tante, tipo è impossibile andare assieme a vedere la luna sul Colosseo, evento proposto per visita notturna nell’anfiteatro Flavio, dove oltre ad unire due cose che ci piacciono potremmo fare una bella competizione fotografica, vista la sua vanità negli scatti. E’ anche impossibile che lei si fermi, altresì è impossibile che io la fermi, a quanto pare.

 

Una certezza c’è, per quanto impossibile, ogni volta mi sento come se la mandassi via. E questa cosa spacca il cuore. Ma io so che è inevitabile per ora. E poi?

 

martedì 2 luglio 2013

Posted by Adespoto Posted on 16:47 | 15 comments

Lei #30–Paralipomeni

Paralipomeni: Sono le parti tralasciate di una narrazione, in questo caso c’è un vuoto di diversi giorni.

 

Sono partito per le campagne sannitiche di Campobasso, passato ho passato dei giorni lontano dal lavoro. Il mio stacanovismo, oramai noto a tutti, ovviamente non è dato dall’attaccamento al lavoro, tantomeno avevo nostalgia di casa, men che meno avevo nostalgia di tutti quelli che sono rimasti.

Nonostante il bel benvenuto servitomi, devo ammettere che sarei ripartito dopo pochi secondi, per tornare a lavoro, anzi, siamo onesti, per tornare da lei. Perché sapevo mi sarebbe mancata, ma non avrei mai immaginato così tanto. Non credevo mi sarei sentito con lei la mattina mentre era in macchina, ci mettevo la sveglia apposta, e poiché il telefono non prendeva nella casa, ho messo il telefono vicino la finestra, 2 piani sotto dove dormivo, e scendevo caracollando i 40 scalini appena sveglio.

Ho provato a distrarmi andando al cinema Maestoso Multiplex di Campobasso, dove delle signore al nostro posto, quando feci notare lo sbaglio di locazione mi hanno risposto con un chiaro:

-Ah!! Ma perché sono numerati i posti?

-Certo signora, lettere e numeri non servono per la battaglia navale tra sale

C’è stato anche una cerimonia, dove ho evitato qualsiasi contatto con l’evento, al di fuori del “dovuto” perché queste dimostrazioni d’amore “eterno” davanti a Dio o a chiunque altro, non mi aggradano ultimamente. Ma questa è una polemica che salterò.

 

Lunedì c’è stato il mio ritorno a lavoro, contento di tornarci, nonostante le 3 ore di sonno, corro in macchina perché abbiamo pattuito che l’avrei accompagnata al ritorno. Ma non era quella la cosa che mi premeva di più. Rientrare in quel corridoietto mi ha dato un senso di pace perché ho visto la porta aperta, mi sono solo affacciato, un semplice ciao ed un sorriso. Ecco il mio “bentornato”.

 

Alle 10 siamo saliti in ascensore per un bacio, il solito bacio, ma quanto mi è mancato. Notammo che ultimamente rischiamo sempre di più con l’apertura delle porte. Ma c’è ben poco che ci tiene oramai.

 

Non sono mai stato così contento di tornare a lavoro, o a Roma in generale. Devo ammetterlo, la mia vita prima di lei era l’esempio di chi “ogni scusa è buona per starsene a casa”, non saltavo un ponte, una festa, niente. Mi facevo i calcoli per starmene di più a casa, come tutti; il “problema” è che io mi sento a casa a lavoro, quando c’è lei.

 

Siamo stati anche 1 ora insieme dopo l’uscita, l’ho accompagnata alla stazione, perché 5 minuti sono importanti, ci siamo baciati e della gente, dopo che ti guardi 4 secondi fissi negli occhi, te ne sbatti allegramente, perché è come se non ci fosse nessuno. Lei mi ha baciato, e si teneva al mio braccio mentre guidavo, cercava il mio odore, lo sentivo. Devo ammetterlo, è stato un ottimo bentornato anche questo, e per quanto mi riguarda, questo sentirmi a casa può esistere anche su un’isola deserta, tanto dopo 4 secondi tutto intorno sparisce.

 

Ti ho detto che ho bisogno di te?
Ti ho detto che ti voglio?

lunedì 24 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 12:36 | 9 comments

Lei–Roma di Note #4– Io me moro

Il weekend è molto duro, c’è l’assenza, la difficoltà del sentirsi, i rischiosi "10 minuti veloci poi non posso più”, ma nonostante questo, anche in sua assenza ho la necessità di immaginarmi che dopo una settimana dedita allo stress, sia giusto farsi una passeggiata se la serata offre un’aria fresca, e soprattutto camminare fa bene. Quello che ci viene offerto di domenica notte, nelle vie di Roma, è una città antica, cosa che non è di giorno, puoi andare a San Pietro e sentire il vento che passa in tutte le file di colonne del Bernini, e notare che è stata aggiunta una fila tra le prime 2 per non dare sfogo alla bellezza che offre la piazza. Oppure puoi cercare tra i vicoli di Borgo Pio una visione che non si addice minimamente all’austerità offerta da San Pietro da un lato, e da Castel Sant’Angelo dall’altro.

Poi arrivi a Castel Sant’Angelo, costeggiando il “passetto” e vedi che sorveglia tutta la città di notte, ed è sfondo per migliaia di foto ogni giorno, che faranno il giro del mondo; ma che è stato anche teatro di molte morti, mentre attraversavo il ponte infatti me n’è sovvenuta una interessante.

beh

Beatrice Cenci decapitata perché uccise il padre, simulandone maldestramente una morte per incidente. Ma non è questa la parte interessante, la storia di Beatrice, influenzò notevolmente la vita del nostro pittore preferito, Caravaggio. L’ingiustizia subita da Beatrice e la falsa giustizia che l’ha portata al patibolo, han fatto da musa per parecchi artisti.

Difatti l’opera Giuditta e Oloferne di Caravaggio rappresenta la storia di Beatrice.

300px-Caravaggio_-_Giuditta_che_taglia_la_testa_a_Oloferne_(1598-1599)

Altra curiosità è che Mastro Titta, abbia annoverato tra le sue memorie le difficoltà di “posizionamento capite” a cause del seno prospero della condannata.

 

"Non sapendo come dovesse accomodarsi domandò ad Alessandro primo boia cosa avesse da fare, e dicendole che cavalcasse la tavoletta del ceppo e si stendesse sopra di quella, nel che fare per la mole del corpo, ma più per la vergogna durò grandissima fatica, ma molto maggiore fu quella di accomodarsi con il collo sotto la mannaia, perché aveva il petto tanto rilevato che non poteva arrivare a porre la gola sopra quel legnetto in cui cade il ferro della mannaia, a cagione che, non essendo la tavoletta più larga di un palmo, non era capace per l'appoggio delle mammelle".

 

Mastro Titta – Memorie romanzate di Giambattista Bugatti

 

Tutto quello che ora è bello, prima di esserlo è stato teatro di numerose lacrime ed ingiustizie, pare che ogni cosa bella nasca da tante lacrime.

 

Questi “tour” che faccio, non sono per me, io queste cose le ho vissute centinaia di volte, ma le ripercorro aggiungendo lei al mio fianco, ora prende senso tutto questo “nozionismo” di cui son fornito, completamente inutile, ma ci piace, ci rende vivi e ci fa vivere anche un ponticello.

venerdì 21 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 12:43 | 2 comments

Lei #29–Quel dì dal rivendugliolo

Ci sono quelle poche volte nella storia in cui riesco a ritagliarmi un po’ di tempo con lei, una di queste è stata qualche giorno fa, quando, cambiando turno, ha accettato di farsi accompagnare alla metropolitana.

La tattica è semplice: usciamo, io faccio il giro, lei mi aspetta come se aspettasse il bus, io la carico, e andiamo via. Non faccio mai la strada “facile”, preferisco passare in mezzo alla città, perché voglio viverla con lei, perché voglio dedicarmi quei 2-3 minuti in più alle sue braccia che stanno intorno al mio collo. E mi piace anche star sempre a sentire “C’è gente!”. Accompagnata alla metro abbiamo visto delle bancarelle, e lei attratta come una falena dalla luce, non è riuscita a resistere, ovviamente sono rimasto, e lei:

-Non s’è mai visto un uomo che segue una donna per bancarelle

-Ma io non mi annoio, io interagisco con i venditori ambulanti

lei sorride.

Cominciamo con l’acquisto di un vestito, scelto da me ovviamente, molto bello, un po’ corto ma fa la sua figura sul suo corpo. I venditori stranieri si appassionano al nostro rapporto, e al modo in cui scegliamo le cose e soprattutto simpatizzano, perché grazie a lei il mio carattere diventa molto piacevole. Compriamo anche dell’intimo, e lo fa scegliere a me, onestamente mi son reso conto di quanto mi piaccia scegliere le cose per lei, non solo da vestire ma anche da levare. Li scelgo ma amaramente so che non sarò l’unico a vederli o che forse io non li vedrò indosso a lei. Ma mi piace pensare che faccia le cose per me.

Dopo tutti questi acquisti decidiamo di prendere un gelato, mi prende per mano, nonostante sia in mezzo alla “gente”, la cosa mi fa sorridere, ma soprattutto mi fa felice. Dopo la sfida di chi paga, abbiamo mangiato un gelato pessimo, il mio soprattutto, fortunatamente il suo era decente. Perdiamo tempo, facciamo aventi e indietro per buttare le coppette, arriva l’ora del commiato, il momento che ci accompagna sempre. Davanti alle scale della metro ci guardiamo per 10 secondi fissi, sembrano una vita, e dopo

-Ti amo

-Da impazzire

Si controlla ancora intorno, per quanto voglia nasconderlo, vedo che i suoi occhi cambiano espressione, è triste. Mi bacia, molto velocemente.

-Ciao, ci vediamo domani.

-Già

Vedo scenderla per le scale, io mi incammino per andare a riprendere lo scooter, salgo, metto il casco e il venditore ambulante mi guarda e mi dice “Ciao Angelo”. Quel –ciao angelo- rappresenta come la gente mi vede quando sto con lei, tutti si invaghiscono di noi, si interessano, simpatizzano, scherzano, parlano, non siamo “la coppia che passa”, cioè si fermano a parlare con noi dicendo anche dove possiamo ritrovarli, perché vogliono rivederCI, non a me, non a lei, ma a noi. Ma quel saluto mi fa notare che sono rimasto solo. E dico al tizio

-C’hai ragione! Tienimi il casco e guardami lo scooter!

Lascio tutto, e scendo giù di corsa, e fortunatamente la vedo intenta a prendere il biglietto alla macchinetta, prendo 2 euro dalla tasca, che lei stessa mi ha messo, e mi avvicino a lei che si sposta e mi guarda

-Perché sei sceso?

-Perché avevi bisogno di aiuto!

-Perché sei sceso?

-Ecco il biglietto

-Prenditi i soldi

e mi da 5 euro in mano, io prendo il resto e mi avvicino per rimetterglieli in tasca

-Dimmi perché sei sceso!

-Perché ti amo, non mi basti mai, e non volevo perdere nessuna occasione.

In quel momento le sto vicino e la bacio, nella metro, con la musica che sembrava fatta apposta, nessuno ci guardava ma ci sentivamo osservati da tutti.

-Tu sei matto….

-Non mi pare una novità.

Vedo i suoi occhi lucidi, sento che avrei potuto baciarla per ore e non avrebbe opposto resistenza, ma non serviva, non è importante quanto è lungo il bacio, ma per quanto tempo ci lascia quella sensazione. E ancora oggi sento il suo braccio nella mano sinistra, sento di avere la mano destra nella sua tasca mentre faccio cadere gli spicci e l’avvicino a me, e sento le sue labbra abbandonate al bacio, e vedo i suoi occhi lucidi.

Sono andato via, perché non volevo lei vedesse i miei.

Però li ha visti il venditore, che mi teneva il casco mentre fisso e stupito guardava me risalire dalla metro:

“Che hai fatto? Perché è andata via?”

-Perché doveva andare via

“oh mi dispiace”

-A te? Pensa a me…

“ma tu piangi?”

-Solo quando è necessario, ma non dirlo in giro senno non vengo a trovarti più

“ok amico! stai bene perché sei una brava persona.”

-Se fossi una brava persona forse non sarei sceso. Ancora devo capirlo.

“Per me sei una bravo uomo.”

-Speriamo tu abbia ragione, mi voglio fidare di… come ti chiami?

“Dinesch” (non so come si scrive ovviamente)

-Ok Dinesch mi fido di te, quindi se non hai ragione me la vengo a prende con te. Ora vado senno faccio tardi e tu non vali un mio ritardo, anche se sei simpatico.

“Tu scherzi tanto, fai felice gente, tu sei brava, ti auguro bene ciao”

mercoledì 19 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 15:30 | 14 comments

La barzelletta zozza #1-#2

Ok non so perché ma mentre ero a mensa circondato da vecchie bagasce, mi è venuta in mente una barzelletta veramente trash. E quindi perché non condividerla?

 

C’era una volta una ragazza con le sue sorellastre che doveva andare al ballo, arriva la fata Smemorina e con una mirabolante magia la veste di tutto punto, topi diventano cavalli, zucche che diventano carrozze.

cenerentola-sexyBaldanzosa si incammina verso il castello ripetendosi continuamente la regola imposta dalla Fata. “Non fare più tardi di mezzanotte poiché l’incantesimo svanirà”.

Arriva al castello, tutti ballano, un drink tira l’altro e lei si ritrova a letto con il principe, cominciano i preliminari e a fellatio finita, scocca la mezzanotte DONG! DONG! DONG! Comincia a correre sulla scalinata e il principe la insegue mentre si tira su la tutina, e vede che si è persa la scarpa sullo scalino e urlando:

-CENERENTOLAAAA! CENERENTOLAAA!

e lei:

-CHE C’E’ MIO BEL PRINCIPE?!?!

-HAI DIMENTICATO LA SCARPETTA!!!

- E FALLA FA A QUELLA ZOCCOLA DE TU SORELLA!!!

The End. E vissero tutti felici e contenti

 

Ne aggiungo un’altra che mi è venuta in mente mentre la scrivevo:

Sempre Cenerentola – Fata Smemorina magia vestito che da stracciato diventa un fantastico abito da ballo delle debuttanti, i topini si trasformano in cavalli, e la zucca diventa una bellissima carrozza e la Fata pronuncia queste parole:

-Ricorda Cenerella, se entro la mezzanotte non sarai fuori dal castello, tutto tornerà come prima, e soprattutto la patata ti diventerà una fetta d’anguria!!!

Cenerella un po’ imbarazzata e incredula si incammina al ballo, durante il quale vengono offerte bevande e frutti di ogni parte del mondo, ad un tratto il principe le si avvicina con una enorme fetta d’anguria, che partendo da una punta con una sola passata ne fa rimanere solo la buccia, e le dice:

-"E tu Cenerentola fino a che ora puoi restare?”

-“bah… le 2 le 3 vai tranquillo…”

martedì 18 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 15:46 | 6 comments

Lei #28–Feel Like Home

La canzone è un buon sottofondo.

Fin da bambino ho sempre voluto andare via di casa, ricordo che all’età di 7 anni mi misi il mio super-accessoriato Big Jim sotto il braccio, passai in cucina a prendere una mezza pagnotta di pane e decisi che me ne sarei andato di casa.  Era sabato, scesi le scale mentre i miei mi guardavano ridendo, aprii la porta che dava direttamente sulla strada, vidi la piena totalità della vita mondana anni ‘90 sotto casa mia, locali che producevano musica a me totalmente avulsa, odore acre di birra su asfalto, gente che urlava, macchine che suonavano… Insomma optai per scappare di casa di lunedì. Soprattutto di giorno.

Non mi sono mai sentito a casa, neanche a casa mia, saranno stati i miei e le loro ostilità, o forse il declino che vedevo nel loro interesse verso il mondo.

 

Non mi sono sentito a casa quando vivevo con altri ragazzi, lo dimostra il fatto che la mia “stanza” non è mai stata chiusa, era un porto di mare, gente che entrava o che usciva, anche mentre dormivo. Sono stato all’estero e anche lì la casa non era una casa, era un posto dove dormire.

 

L’ho progettata più volte la mia casa ideale, tanto da diventare decisamente abile nell’utilizzo di software atti a rendere 3d la tua idea di casa, abile con i software di ikea o simili, per arredare, forse anche molto bravo nell’arredare proprio. Lo dimostrai per la cura dei particolari che avevo anche nel mio locale. Linee che dividevano le stanze, colori accesi pastello, ovviamente il tutto sembrava un quadro di Mondrian, ma chi se ne accorse? nessuno, pensai che fosse la mia casa, che nascondeva i miei segreti e le mie passioni, a chi potevano piacere delle follie tali. Ma comunque non lo fu neanche quel locale. Cominciai a capire che non era tanto dove vivevi, era come stavi a farti sentire a casa.

 

Il 19 febbraio, ore 20.15 circa ero seduto accanto al sedile del passeggero, ci fu uno di quei discorsi del tipo “non si può/non si deve/sto male/sono colpevole/etc.etc” uno di quei discorsi che quel giorno mi colpì parecchio, perché non riuscii a nascondere la tristezza, solitamente sono molto più bravo. Lì in quel momento lei smise di fare quel discorso, io la guardai e lei mi fece una carezza sul viso, una carezza che partiva dalle tempie e finiva col pollice sulla bocca, i discorsi erano finiti, lei fu più forte di me, mi consolò e mi fece sorridere. Chiusi gli occhi, entrai in un salone con delle scale, sentii degli odori a me familiari, vedevo dei quadri che rappresentavano qualcosa, dei colori e una voce. Mi son sentito a casa per la prima volta. Su un montante di una macchina, quasi seduto per terra, con il casco in mano, ma mi son sentito bene, ero a casa. Mi son sentito a casa la prima volta che mi ha detto mi abbracci, mi son sentito a casa la prima volta che ha sorriso, quando ho sentito che sapore hanno le sue labbra.

 

La casa è come la chiesa se non ci credi è solo un edificio fatto con i mattoni, ma quando una carezza ti fa sentire come se avessi aperto la porta e lì ci fosse tutto il tuo mondo, allora sei veramente dentro la tua casa, con tutti i pro e i contro, e non avrai mai paura di varcare quella soglia.

domenica 16 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 12:01 | 11 comments

Lei #27–The man in the mirror

Ho sempre odiato gli specchi, non mi piace guardarmi, non mi piace guardare neanche quello che ho dietro attraverso lo specchio. Alla stessa maniera non mi piacciono le foto, non guardarle, intendo a me, non mi piace che mi si impressioni. E no, non ho paura che mi si rubi l’anima.

 

Però so che esiste una foto che mi piace, a cui non mi sono ribellato, a cui ho sorriso all’obiettivo. Ed è sul suo cellulare, nascosta, bloccata o quel che è, dove ho sulla fronte un post-it:

Ciao

Ti Amo

Pomiciamo?

Si lo so non è granché, ma d’altronde avevo fretta.

 

Venerdì mi sono visto allo specchio, come non avevo mai fatto prima.

Mentre lei si ricomponeva i capelli nel bagno, sono entrato nell’antibagno delle donne, e l’ho abbracciata da dietro, lei mi ha preso le braccia come continuazione del mio abbraccio.

(Io le ho anche toccato una tetta, ma questa parte la tralasciamo).

Ho alzato lo sguardo, ho visto me con lei, mi sono piaciuto, ovviamente era lei che stava davanti a me e io intanto le baciavo il collo.

 

Stamattina mi sono lavato il viso, ho alzato gli occhi, lo specchio era tornato vuoto, o meglio, è tornato quello di sempre, un riflesso banale della realtà, niente di voluto, niente di cercato, solo un continuum di quel che c’era prima.

 

A lei piacciono le foto, a lei piace specchiarsi, lo fa spesso anche sulla porta che riflette in determinate ore del giorno.  A me non è mai interessato nulla di queste immagini, tutti lo accettavano, e tutti lo sapevano.

C’è una frase di un film che rappresenta quasi totalmente il mio excursus.

 

Io sono un grande stronzo… anzi no, sono consapevolmente un grande stronzo. Perché non mi è mai importato di niente e di nessuno in tutta la mia vita e la verità è più o meno che tutti l’hanno accettato… “sai è così”… “è fatto così”… e poi tu… Dio… (lo ripeto infinite volte) tu!

Tu non hai mai pensato questo di me. Io non ho mai conosciuto nessuno che pensasse davvero che volessi qualcosa, finché non ho incontrato te… e allora l’hai fatto credere a me, perciò sfortunatamente io ho bisogno di te e tu hai bisogno di me!

 

Ora voglio le foto, voglio guardarmi nello specchio, le dico a voce che voglio una minilei, perché diamine se la voglio. Perché la voglio per me per la più bassa forma di egoismo, voglio un’altra come lei;  e la voglio dare a lei perché è ciò che di meglio potrei darle, un’altra come lei.

 

giovedì 13 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 16:52 | 8 comments

Lei #26–Le guerre pudiche

Roma e Cartagine, città coetanee, la supremazia è ancora da decidere, quale miglior modo di un 2-3 guerre Romano-Puniche per ottenerla?
Da questo, ho deciso di instituire le guerre pudiche, dove sia io che lei, ci contendiamo la supremazia dialettica di una conversazione, chi ha ragione su chi? Io sono talmente logorroico che riesco a far cambiare idea e/o farti dire quello che voglio tu dica, lei, invece, con poche parole, o mi mette a disagio o fa capire che è talmente testarda da non voler sentire ragioni, le parole più gettonate sono no, ho ragione io, sta zitto, vaffanculo, ho detto zitto, taci.

Le guerre pudiche non si fermano a 3, sono parecchie, io cerco di essere romantico e senza usare terminologia troppo mmm focosa, invece lei con 12 parole senza alcun pudore nelle stesse, mi fa ammettere di aver ceduto, quindi gliela do vinta, maledetto me. E lei ne approfitta per annoverare tra gli screen di ricatto:

Screen 1: Il gran rifiuto                                                                  Screen 2: La Resa
10 - pronto
j - pronto


















Screen 3: Supremazia 1                                                               Screen 4: Supremazia 2
q - pronto
k - Pronto


















Il miglior pescaggio da mazzo possibile... La sconfitta dialettica e il fallimento di recupero con inganno al seguito il pericolosissimo da oggi in poi…

SUPREMAZIA DIALETTICA
L’asso nella manica.

asso - Pronto

Questo fatto è sconcertante, io non faccio screen perché lei si incazzerebbe ma io devo subire l’onta sia verbale momentanea, che riproposta nel tempo, qualsiasi cosa succeda lei ha uno screen pronto all’uso per farmi incazzare. E’ vero sono parole mie, ma a volte sono distratto e faccio ammissioni che mi ingabbiano. Se dovesse andare come voglio io, cioè che ci dedicassimo tutta la vita per noi, nonostante tutto ci farei dei quadretti, non perché ammetta la sconfitta, ma perché anche queste cose fanno parte di noi, e ci divertiamo come deficienti a metterci in difficoltà o a farci rosicare.
Ma so per certo che nessuno arriverà mai a far bruciare l’altra città, perché vedrebbe riflessa la propria, come del resto pianse Scipione durante il saccheggio e le fiamme, vide riflessa la propria Roma, dopotutto siamo uguali io e lei. Come lo furono Roma e Cartagine.
E poi che gusto mandare un messaggio con scritto:
-Ti amo stronza!
per poi leggere:
-Da morire perdente.

mercoledì 12 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 15:30 | 10 comments

Lei #25–Happiness

Quando un uomo avrà raggiunto la felicità, il tempo non ci sarà più.

 

Dostoevskij – Demoni.

 

Chiedimi se sono felice?

-Si lo sono, lo sono quando vedo lei 3 ore prima dell’orario di lavoro, lo sono quando mi bacia di prima mattina, lo sono quando si mette la gonna per mandarmi in tilt, lo sono quando mi tiene la mano in macchina, lo sono quando vedo lei che mi guarda, sorride e si morde il labbro. Lo sono quando un secondo dura un eternità ma sai che è poca l’eternità stessa.

Se ieri avessi dovuto fare un resoconto della giornata avrei detto che:

Ho passeggiato mano nella mano, ho guardato ciò che amo da sotto la strada attraverso una finestra, ho baciato, ho abbracciato e nello stesso tempo mi veniva stretta la mano che le cingeva la spalla. Ho preso un libro perché a lei serviva, ho riso con lei e con tutte le persone che incontravamo; io interagisco con il mondo perché voglio viverlo, ogni volta che c’è lei di fianco a me. Abbiamo comprato un vestito per lei, discusso sulle tonalità di colori esistenti, abbiamo fatto quello che non “ci è concesso” ma ci siamo amati anche solo perché camminavamo nella stessa direzione.

I resoconti della giornata voglio farli mentre lei si addormenta, l’ho guardata dormire o riposare gli occhi, come vuol dire lei, mentre riposava gli occhi le accarezzavo il viso e vedevo che stava bene, quando ho visto che lei stava bene mi son sentito felice, con lei accanto, vestita per mandarmi in tilt, un sorriso generato da una carezza, e nessun altro in giro.

Non sapevo quantificare il tempo che passava se non guardando l’orologio, non capivo perché una carezza sembrasse così lenta ma al tempo stesso le 3 ore sono volate via.

 

Quando mi ha chiesto come fossi stato, le risposi –felice- e lei, fiera del suo puntiglio, “felice è una cosa importante” ed io so bene che significa. Ho provato a richiederglielo, la risposta è stata “felice”. Lo so che mi ha fatto quell’osservazione prima, perché poi il suo felice avrebbe avuto più importanza.

 

La sera a casa, non pensavo ad altro se non al bacio dato alle 10:55, al darsi la mano con le dita intrecciate, alla sua gonna, e a quello che aveva sotto, al fatto che mi avesse mandato veramente in tilt, mentalmente e fisicamente, al comprare delle stronzate, al fare tutto perché un suo sorriso, un suo chiudere gli occhi e riposarli, vale ogni singolo gesto. Ognuno fa quello che può per rendere felice un’altra persona, io mi rendo conto che faccio tante cose, ma so per certo che quello che CI rende felici, inequivocabilmente, indiscutibilmente è la vicinanza l’uno dell’altro, ci rende felici tanto quanto si è infelici distanti, perché ogni sguardo che incrocio per me è il suo, non ne reggo più uno difatti, ma so che ogni mano che la sfiora, è la mia.

 

Le ho ripromesso che non cambierò mai, a discapito del fattore “tempo insieme” che tanto sbologna la gente, io le ho detto “tu sai per certo che io fra 20 anni sarei ancora così”, non ho ricevuto risposta, perché lo sa, ed io lo so, ma lo so perché se non solo per lei sarei così per una minilei o un minilei, ho capito che sono così, sono stato così diverso in tutti questi anni che non posso regredire, e poi se ci fosse qualcun’altra con noi, non mi sognerei mai di smettere di creare fiori di carta, o di fare un balletto sulle note di Vinicio Capossela, sarebbe la mia eredità.

 

Non ho tante vite, ne ho solo una, e  in quanto unica, è giusto che cerchi di renderla perfetta, perché la vita è pienamente vissuta solo quando mette radici in un’altra.  A volte ci rendiamo conto che siamo come i Salici Piangenti, quando capiamo che la terra non è giusta cerchiamo un’altra terra, nascosti sotto lo strato superficiale, quando la troviamo i rami si appesantiscono come spugne e diventano così curvi, il nome non è casuale, ma per ogni trapianto ci sono insieme cambiamento e pianto.

Spero che oltre ai pianti che le sto offrendo abbia almeno un’abbondanza di buoni pensieri. Perché non mi perdonerò mai, comunque vada, del dolore che le sto causando. L’unica consolazione è che lei è felice con me, credo come non lo è mai stata con nessuno. Io non sono la novità, sono quello che vuole, ma che forse avrebbe preferito non conoscere ora.

 

Che rumore fa la felicità?

-Fa “ehi”…

lunedì 10 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 13:17 | 12 comments

Infanti e genitrici

La mia infanzia è stata un continuo chiedermi cosa ci fosse di insano nella mente di mia madre, crescendo ho cominciato a capire che, essendo lei una donna, non aveva la minima idea di cosa volesse, ma poteva riservarsi il diritto di lamentarsi se non la otteneva.

Non posso partire dagli albori, ma posso iniziare da un buon punto.

 

Anni pochi, 6 o 7 – Estate – Mare – Stabilimento Convenzionato con il ministero.

 

-Mamma mi compri il secchiello e la paletta?

-No!

-Mamma! Mamma! Mamma!

-No! No! No!

-Dai! Mi piace fare i castelli di sabbia! (ed è vero ancora mi diverte onestamente, e sono anche decisamente bravo)

-Va bene, ti compro paletta e secchiello! Ma…

Ecco questo è il rapporto, un dare-avere, una legge del taglione infanticida!

…ma, non devi farci le buche!

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Ora, cara genitrice, io capisco tutto, ma se me compri una merdosissima paletta rossa, non posso far altro che farci delle cazzo di buche. Senno che ce devo fa? Me devo mette sulla Nettunense a dirige il traffico locale?

 

 

 

 

Anni un po’ di più 9-10 – Estate – Paese – Negozio di biciclette.

 

-Ecco figlio! Questa è la tua bicicletta!

-Evviva!! E’ nuova è una BMX!! Farò rosicare Andrea (altro abitante estivo del paese distante 91mt da casa mia)

-In che senso?

-Beh GENITRICE! Andrò da lui e gliela farò vedere

-Ah perché vuoi andarci in giro così da solo?

…. Momento di stallo mentale.

Capisco che c’è una trappola, se dico si, mi dice “devi andarci in compagnia”, se dico no, e mi vede fare quei metri da solo, per arrivare alla compagnia, mi dice che le ho mentito, che fare?

Sono fottuto… E’ evidente.

Doveva comprarmi un tandem con un accompagnatore sopra forse? inganno…

 

Anni adolescenziali tipo 16 – Estate – Paese – Campo da calcio

 

Eravamo intenti nella pulizia di sterpaglie e sassi del famigerato campo di calcio paesano, dopo ore di rastrello, e di piegamenti per raccogliere sassi enormi, abbiamo accumulato una buona quantità di sterpi. Seccate dal sole, accantonate sul lato, le guardavamo. Intenti a capire come sbarazzarcene. Ad un tratto, un colpo di genio, “DIAMOGLI FUOCO”.

Eravamo tutti posizionati a guardare questo enorme falò, quando uno all’inizio della fila, dice “VENTO”, e noi abbiamo pensato bene che ci avrebbe aiutato, ma non aiutò assolutamente. Prese fuoco parte del campo, gli sterpi, parte dell’argine del fiume e iniziava parte della montagna…

Noi eravamo atterriti, uno di noi si precipitò indietro per chiamare i pompieri, arrivarono mentre noi cercavamo alla meno peggio di far interrompere la striscia di sterpi, ma eravamo stati molto bravi nel crearla. Quando tutto era quasi finito, noi eravamo neri per la fuliggine, e tagliuzzati come una carota julienne, sento un rumore di una macchina a me familiare, una panda rossa che si precipita nel campo, sgomma come fast & furious genitrice drift, scende con le braccia allargate, io mi accingo a prendere il mio beneamato abbraccio… non fu un un abbraccio ma uno schiaffo che scaraventò l’altra mia guancia sull’altra mano, della serie “te do no schiaffo che er muro te ne da n’artro”. Sono stato ingannato nuovamente.

 

domenica 9 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 02:24 | 10 comments

Lei #24–S’agapò

Ci sono dei giorni in cui so che dovrei stare accanto a lei, lo percepisco, lo sanno forse tutti, ma nessuno lo ammetterà mai. Ieri era uno di questi, un giorno in cui forse il mio animo, o il mio modo di essere avrebbe aiutato più di qualsiasi parola detta da chiunque. Purtroppo non c’ero. Ciò non toglie che però son stato tutta l’intera giornata a chiudere gli occhi e a riaprirli con 3-4 secondi di ritardo. Era come se cercassi in tutti i modi di mandarle un messaggio. Niente mi distraeva dall’intento, anzi, ogni cosa, più del solito, mi ricordava lei, figurati una ragazza che si morde il labbro mentre mi guarda e sono in macchina a cercare lei con la mano su un sedile vuoto. Alla fine capisco che questa mi segue e mi continua a fare sti sguardi perché sorrido come un ebete… ma non sorrido a lei. Sorrido a quello che mi ha suscitato.

Quando si perde una persona cara, ci sono due possibili vie, o sei la persona che piange o sei la persona che sostiene chi piange. Lei è forte, lei smette di piangere per sostenere chi piange.
Lei crede di essere debole, allora mi chiedo se non sia lo sguardo o le parole di chi la circonda a farle credere questa enorme stronzata. Io l’ho vista piangere, l’ho sentita piangere, sono spesso la causa del suo piangere, l’ho stretta quando piangeva, ho sentito il suo petto contrarsi dal pianto stesso, non è un pianto di una persona debole, è un pianto di una persona forte, che nel momento in cui vede che hai bisogno tu di essere sostenuto, diventa il tuo sostegno. Ma io non c’ero ieri… Ero a far finta di divertirmi, a far ridere tutti, a fare il giullare di una corte che non voglio, e non potevo tenerle la mano. Certo non avrei cambiato la giornata, la giornata non la cambi mai, ma puoi cambiare il modo di vedere la stessa. Gli eventi sono inevitabile, le reazioni sono comandabili, la giornata può, in un certo senso, essere modificata.

Posso solo dire che se fossi stato con lei avrei cominciato la mia solita polemica sul tutto. Non perché mi interessasse, ma perché so che focalizzando l’attenzione sulla stessa si sarebbe allentata la morsa allo stomaco:

- Sai amore mio, mi rendo conto che siamo proprio dei coglioni, spacciamo anche il rito della morte come cristiano, quando l’inumazione così è più antica della nascita di Adamo ed Eva, stando a calcoli ovvi.
- Ma ti sembra il momento?
- Beh non è che ci sono momenti migliori, dopotutto parli di cibo quando sei al ristorante, di birra al pub, di lavoro a lavoro, di malesseri all’ospedale. Insomma ogni luogo ti ispira un determinato argomento.
- Dio mio, quanto mi fai incazzare, è vero, ma non è il caso.
- No infatti, però pensaci, pure gli uomini di Neanderthal  mettevano dei fiori, i romani avevano questo concetto di “fuori le mura", e i greci erano fissati per la sepoltura senno niente riposo.
- Dove vuoi arrivare?
- Da nessuna parte, tu immagina fossimo dei greci, guarda la tua amica, quella che chiacchiera bene e razzola male, magari stava al senato… Oppure magari l’altra, quella con la faccia da stronza, che si promette sposa ma poi si rende conto di amare il garzone ed impazzisce perché non può mettere a repentaglio tutto quello in cui ha sempre creduto, ma in cui ora crede meno.
- Ancora non ti capisco.
- Vedi forse se eravamo così antichi come i greci, saremmo stati abbastanza moderni nel pensiero che forse questo giorno non sarebbe mai capitato. Perché ricorda che stiamo storicamente regredendo lo dimostra una frase molto importante, i greci erano già froci quando noi magnavamo ancora le banane sull’albero.
Un sorriso a mezza bocca non gliel’avrei già levato? un sorriso amaro, certamente,  ma una reazione controllabile.
E poi lei curiosa come una portinaia suocera di se stessa:
- E secondo te, noi greci come saremmo stati?
- Beh, eravamo vestiti diversamente, mangiavamo cose diverse, parlavamo una lingua diversa, ma dalla mia bocca sarebbe uscito lo stesso:  -s’agapò-. 

mercoledì 5 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 09:53 | 16 comments

Lei #23-Il buongiorno si vede dal mattino.

04-06-2013

Amore mio, domani vengo alle 8 cerca di arrivare un po’ prima che voglio dare un seguito all’ultimo bacio.

05-06-2013

Sveglia alle 6.30 per poter arrivare alle 7.15 a lavoro. Corsa per arrivare in tempo, alle 6.56 telefono diretto.

- Buongiorno amore mio, come stai?

- Benino (mai che si sbilanciasse, sta stronza!)

- Dove sei?

- Sulla strada quasi arrivata

- Bene, vuoi baciarmi?

- No! Affatto!

Arrivo a lavoro, passo 20 minuti a controllare che non arrivi nessuno del nostro corridoietto passando da fuori al parcheggio e viceversa, sempre stando al telefono per controllare il suo arrivo.

Quando la vedo, si fa giorno. Le dico, mentre esco per dare un ultima controllata al parcheggio:

- Non resistevo più.

Mentre chiudo la porta del corridoio che produce abbastanza rumore da diventare un allarme, sento le tapparelle che si chiudono. Lei vuole baciarmi immediatamente. Appena entro ci baciamo, lei non si toglie neanche il giacchetto dalle mani, le carezzo il viso, le metto una mano sul sedere, lei è vestita bene, sempre curata, anche quando dice di non averci dato peso, le sue labbra mordono le mie, se può essere considerato un morso. Ci baciamo per 5 minuti continui sembrano essere durati un solo secondo. Lei posa la giacca, si riavvicina, e la ribacio, mi appoggio ad una scrivania, lei mi scavalca fermandosi sopra di me, mi ribacia, le sue labbra non riescono a serrarsi, ed io prendo il suo respiro. Passano altri 10 minuti mentre lei muove il bacino, e le dico:

- Questa cosa non aiuta

Lei sorride. Il mio buongiorno è stato questo sorriso.

 

 

 

I want to write a message to you
Everyday at 10 o clock in the evening
Yellow pearl my city is
This is your art this is your Balzac your Brookside and your Bach

martedì 4 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 12:43 | 4 comments

Lei #22-Lettera.

Lettera.

 

Amore mio, la vita toglie, la vita non da niente, la vita ti da solo la possibilità di prendere quello che vuoi, con notevoli difficoltà, ma toglie senza chiederti nulla. E’ assai stronza. Ma una cosa è certa, la vita non può toglierti i ricordi, quelli che ti fanno sorridere, quelli che ti fanno ridere, quelli che creano la voglia di raccontare anche di un panino assieme.

Io forse posso essere paragonato a qualcuno che vuole toglierti la vita, perché forse sì, in un certo senso è quello che voglio fare, ma per dartene un’altra, non migliore o peggiore, ma diversa, forse non è la cosa giusta, forse non è la cosa corretta, ma una volta mi hai detto una cosa molto importante, e sottolineo neanche indotta da me, quando io ti dissi “se me ne vado via, sono contenti tutti” tu mi hai risposto “tranne me e te” e allora ti dico, più di me e te, chi può decidere cosa vogliamo? Tu vuoi le stesse identiche cose che voglio darti io, senza parlarci lo sappiamo, io chiudo gli occhi e desidero darti qualcosa che vuoi tu, non ho bisogno che tu me la dica, non ho bisogno che tu me la scriva. Le mie fissazioni, i miei interessi, sono generati da un’ abnegazione sociale che ho avuto per tutti questi anni, ho sempre creduto che mi comportassi così perché non ero atto a stare in società, anche se non sembra. Ora posso affermare, come già ho fatto, che non era per non stare con gli altri che facevo così, ma per stare con te, non con “una come te” ma proprio con te.

Non voglio sapere se c’è “una come”, io non voglio una vita “paragonabile”, io non voglio uno sguardo “paragonabile”, tantomeno una prole “paragonabile”, perché a paragone di tutto non c’è solo la persona, ma come sono io sotto i tuoi occhi. E come sono io sotto quegli occhi posso esserlo solo con te. Ed è l’unica cosa che mi fa vedere il domani sotto un altro aspetto.

Io con te voglio la parte sconosciuta dell’amore, tu sei il mio bacio ad occhi aperti, sei il mio tremare, il mio cedere, il mio embolo, il mio cervello, il mio cuore, e non ultima, la mia vita. Quella parte che “in barba a tutto” ha vinto, perché alla fine è questo che ci lega, e non è debole, non è flebile, non è appesa ad un filo. Ogni volta che proviamo ad allontanarci perché consideri la cosa giusta, ci riavviciniamo più legati di prima. Ogni sacrosanta volta. Sia perché io non voglio ed insisto, e sia perché non è la cosa “giusta” a quanto pare.

Ti ricordi quando non dovevamo più baciarci?

Pochi giorni dopo, abbiamo iniziato a fare il “dispetto” di avvicinarsi alle labbra fino a pochi millimetri e poi allontanarsi. Poi… un millimetro di più ed eccoci qua.

Abbiamo deciso di non abbracciarci più, ora non desideriamo altro che stare ognuno tra le braccia dell’altro.

A volte vengo la a far finta di lavorare alla postazione della tua collega, e ci accarezziamo le braccia nascosti dal monitor, quelle carezze sono fatte come se fossimo sul divano o in un letto a vedere la tv. Ed ogni volta che c’era una pausa i muscoli del collo si irrigidivano per non baciarci davanti a tutti.

Siamo gelosi l’uno dell’altro, come se avessimo messo non si sa quale marchio, perché parliamoci chiaro, ci siamo “marchiati” da tempo (passami il termine).

Noi non siamo mai stati insieme come si deve, ma l’unica certezza è che non abbiamo paura di un quotidiano, vogliamo il NOSTRO quotidiano, vogliamo cucinare l’un per l’altro, discutere sulla posizione del telefono più comoda per riposizionare il cordless, perché è così che siamo, e amiamo come siamo, ognuno visto dall’altro. Ed è più dell’amore per se stessi o per un altro. E’ dipendenza pura e semplice. E se mi permetterai di affermarlo mai, urlandolo, io lo farò urlerò che voglio una sola dipendenza e si chiama TE. E non tè deficiente.

Alla mia prossima scusa per venire la, tesoro mio.

lunedì 3 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 00:07 | 11 comments

Lei–Roma di Note #3– Costruire

Ogni volta che passo vicino al Colosseo, mi viene in mente una sua foto, un suo sorriso, vista tante di quelle volte. Non è la foto in se, quello che mi viene in mente, è l’attimo di vissuto, quello che io non ho mai avuto. Quello che desidero è il creare, il costruire qualcosa di tangibile o di associabile, un amore vive di ricordi costruiti, vive di attimi rubati, vive di ciò che la gente non può capire da fuori.

Sto costruendo una storia, o se tale si può chiamare, una storia che ha dei ricordi, ha una macchinetta del caffè, un sorriso mentre cammini girata sulla destra, dei post-it, delle fragole, delle olive, delle righe sul muro fatte dalle forcine per capelli, il gesto di chiudere la porta, levarle le cuffie. Ha delle canzoni, ha delle storie, ha centinaia di email, migliaia di sms, decine di migliaia di messaggi su facebook, ha qualche lite. Sto costruendo una storia basata su quello che tutti considerano “normale” allora mi sovviene una cosa; una volta le dissi che non volevo costruire una storia con lei come tutti farebbero, volevo che avesse delle basi talmente tanto solide da far paragonare una torretta di Jenga con il Colosseo. Io voglio costruire un Colosseo.

Andare a vedere il Colosseo di notte è qualcosa di meraviglioso, non rappresenta solo Roma e la sua storia, anzi a mio modesto avviso non è neanche il miglior posto, ma è fermo, è inamovibile, quello rappresenta. E quando ti senti affranto, perché non fare una capatina nella Via Sacra e fermarti nella piazzola per guardare il Colosseo?

CSC_0033

 

Ma oltre che di questo, ti renderai conto di quanta gente passa la davanti come fantasmi. Spostandoti in alto, verso colle Oppio, puoi notare che tra il Colosseo e il tempio di Venere e Roma tutti sono quasi fantasmi. Gente che ha una propria storia, gente che ha creato un passato, presente e avrà futuro ma al confronto sono solo ombre, e lo dimostra una foto bastano 30 secondi di esposizione e tutti diventano fantasmi. Perché tutto passa, tutto scorre. Io non voglio che sia così e so che non sarà così. Che sia anche un racconto fatto utilizzando altri nomi, o come esempio per dare consigli, l’amore o la storia che intendo io è ben diversa. Altrimenti mi sarei accontentato, altrimenti mi accontenterei e mi adagerei.

 

DSC_0031

 

La curiosità

 

Foto 1

Colosseo, abbastanza banale sottolinearlo, la parte interessante è che sia stato esorcizzato da Papa Benedetto XIV, poiché il nome sembra derivare da “Colis eum” cioè “adori lui?” intendendo il diavolo, e rispondendo Ego Colo avevi l’abilitazione ad entrare e boh, sacrificare e fare quelle cose che si fanno.

 

Foto 2

Colonne del tempio di Venere e Roma, quale più suggestiva storia di quella di Adriano che si progetta da solo il più grande tempio a Roma, in barba ai grandi architetti, o presunti tali, di cui uno fatto pure ammazzare perché ha osato asserire che non andava bene il progetto? Apollodoro di Damasco, che fece parecchie opere per Traiano, tra cui la colonna, e forse l’ultimo rifacimento del Pantheon, più porti, ponti, archi, scalini e bozzetti, ci lascio le penne, perché la storia ci insegna che chi se fa i cazzi sua campa cent’anni o quantomeno qualcosa di più di quel che ha campato.

 

Le note

 

Le ho sempre detto che quello che sentivo è che non sarebbe mai stato niente di scontato tra noi, le ho sempre detto che tutto quello che volevo era tutto il resto, cioè quello che non ho, ma non un tutto il resto a cui abituarmi, un tutto il resto sempre nuovo, costruire sempre qualcosa di nuovo.

Avrei voluto essere con lei quando ha nevicato a Roma, e girare per i fori mano nella mano; la sensazione di quei 4 secondi di mano nella mano rubati, alla svolta di un angolo, poco dopo il parcheggio, mi fanno costruire storie forse fantastiche, forse no.

Vorrei assaporare con lei cosa vuol dire guardare in 3, quello che in 2 avrebbe già un sapore magnifico.

Non ho potuto portarla con me stasera, posso però donarle quelle foto, perché parliamoci chiaro, non sto imparando per me ad utilizzare una macchinetta. E forse un po’ di Colosseo le fa bene prima di andare a dormire. Magari dorme meglio, domani lo scopriremo.

sabato 1 giugno 2013

Posted by Adespoto Posted on 14:36 | 5 comments

Lei #21.6 - Un altro carosello, un altro 0.3


Io le dico sempre che non ho bisogno di fare altre promesse se non quelle che posso fare a lei, direi anche oltremodo retoriche, ma quanto ci piace dirci cose che sappiamo. Dopotutto una cosa detta è una cosa vera, una cosa scritta è una cosa che rimane. Se ogni cosa che ho fatto porta a lei, ora ho la consapevolezza che ogni cosa che faccio e farò sarà dovuta alla sua presenza, o quantomeno alla sua esistenza. Sia anche scegliere una macchinetta rossa, per darle il nome Rossana. 
La promessa che le ho fatto più volte è che non la odierò mai qualsiasi cosa succeda, ma non serviva farla, in realtà le ho fatto una promessa diversa, ogni volta è la stessa, malcelata sotto queste parole.
"mi odierai tanto quanto mi ami" 
no io odierò tutto il resto quanto amo te.

Il giorno in cui sei arrivata si è aperta una porta su un mondo che non conoscevo 
hai portato con te una parte di me 
che adesso è il mio vanto 
mi hai trovato abbracciato a un ricordo 
seduto e annoiato davanti a uno specchio 
ho sentito di avere il permesso 
di chiudere gli occhi e aprire le braccia 
ora è possibile spingerci insieme 
oltre i confini del tempo 
come certe idee come le maree 
come le promesse 
è possibile andare lontano senza avere paura 
come certe idee come le maree 
come le promesse che si fanno 

adesso siamo compagni di vita 
di vita sognata e di sopravvivenza 
la nostra casa è arredata con i tuoi colori 
e con le mie parole 
i nostri libri mescolati insieme intrecciano 
e fondono le nostre storie 
ma i segreti nascosti in ogni rapporto 
quelli non si raccontano 
il nostro amore si sporca le mani 
ogni giorno nel fango 
più di certe idee più delle maree 
più delle certezze 
il nostro amore è sospeso nel vuoto 
ma con i piedi per terra 
più di certe idee più delle maree 
più delle certezze che si hanno 

tu sei la luce e la pace 
la comprensione della sofferenza 
io sono la voce e la direzione 
le spalle e la malinconia 
così abbiamo unito anche il sangue 
per coltivare il nostro giardino 
e per quanto saremo capaci di farlo 
noi lo custodiremo 
se potessimo spingerci insieme oltre 
i confini del tempo 
come certe idee come le maree 
come le promesse 
se potessimo andare lontano 
senza avere paura 
come certe idee come le maree 
questa è la promessa che ti faccio